Determinazione dell’imposta evasa e doppio binario tributario e penale

Nel rapporto tra procedimento tributario e penale, caratterizzato dal sistema del doppio binario e dall’assenza di alcuna pregiudiziale tributaria, incombe sul giudice penale il compito di determinare la misura dell’imposta evasa al fine di verificare la rilevanza penale della condotta per effetto del superamento delle soglie di punibilità previste dal D.Lgs. n. 74/2000. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità, assottigliando l’autonomia tra i due procedimenti, attribuisce alle determinazioni assunte in ambito amministrativo efficacia dirimente, anche se non vin­colante, nella separata sede penal-tributaria.

Il risultato è una profonda inclinazione del rapporto di autonomia tra i due procedimenti, sintomatica della tendenza in atto ad abbandonare il doppio binario in favore di un sistema caratterizzato dalla sempre maggiore interferenza, in materia tributaria, tra procedimento amministrativo e penale.

Il concetto di imposta evasa, ai fini penal-tributari, è sempre stato oggetto di un forte dibattito giurisprudenziale. Ciò soprattutto in virtù della forte autonomia che caratterizza il procedimento tributario in senso stretto e quello penale. A tal proposito, quindi, il concetto di «imposta evasa» ai fini penali non coincide necessariamente con quello di «imposta dovuta» ai fini amministrativi.

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La disciplina dei reati in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto è contenuta nel Decreto legislativo nr. 74 del 2000, modificato da ultimo dal D.Lgs. n. 158 del 2015.

A distanza di quasi vent’anni dalla sua introduzione nell’ordinamento, rimangono ancora irrisolte alcune problematiche operative legate alla corretta ricostruzione di importanti aspetti di natura sostanziale. Tra queste assume particolare rilievo la quantificazione dell’imposta evasa che, essendo necessaria per verificare il superamento delle soglie di punibilità previste per la maggior parte delle fattispecie di reato tributario, si connota quale elemento costitutivo dei singoli illeciti.

Il legislatore, all’art. 1, lettera f), del decreto 74/00, chiarisce che per imposta evasa deve intendersi la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine.

La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la sentenza n. 34139 del 03 agosto 2023, ha analizzato il profilo della determinazione dell’imposta evasa in ambito amministrativo e della sua rilevanza nell’ambito del processo penale.

Nella situazione specifica, l’imputato ricorrendo in Cassazione ha sottolineato, tra le questioni di rilievo, che la legge penale era stata applicata in modo errato rispetto agli articoli 5 del Decreto Legislativo 74/2000 e all’articolo 192 del codice di procedura penale, lamentando che la Corte territoriale aveva calcolato l’importo dell’imposta evasa basandosi unicamente sui risultati dell’indagine bancaria condotta dalla Guardia di Finanza in base al Decreto del Presidente della Repubblica 600/73.

Con il secondo motivo del ricorso, l’imputato ha altresì affermato che l’esistenza di ricavi non dichiarati era stato giudicato in modo difettoso basandosi sull’estensione delle indagini finanziarie condotte su un terzo soggetto, coinvolto anch’esso in attività d’impresa.

Secondo la Suprema Corte le censure erano infondate, in quanto i giudici di legittimità avevano già affermato il principio che, ai fini di verificare il superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5 del Dlgs. n. 74/2000, il giudice può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari. È stato infatti chiarito che nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini, in generale, della prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati tributari, ivi compreso quello contestato nella specie, aggiungendo che in tema di reati tributari il giudice può comunque legittimante basarsi sull’informativa della Guardia di Finanza e ricorrere anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità sia stata tenuta irregolarmente.

A prescindere dallo specifico caso processuale, nella disciplina dei rapporti tra il procedimento penale e quello amministrativo (artt. 20 e 21 del Dlgs. 74/2000), vige il principio della completa autonomia reciproca delle due sfere di azione, escludendosi qualsiasi pregiudizialità o vincolo sospensivo tra i diversi contesti. Ne consegue che, sia l’attività di accertamento degli Uffici finanziari, sia i processi avanti alle Commissioni tributarie si svilupperanno in parallelo e indipendentemente dal processo penale.

Tale disciplina ha sempre destato non pochi dubbi di legittimità costituzionale per possibile contrasto sia con l’art. 3 Cost., sia con l’art. 24 Cost., dubbi che però sono stati fugati dalla Corte costituzionale, che ha ribadito che la scelta del legislatore di non prevedere la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito di quello penale ha natura discrezionale ed incontra pertanto solo il limite della ragionevolezza.

Vedremo ora come in concreto interverrà il Legislatore, ma è chiaro che, visti i principi della Legge delega, il rapporto tra i due processi è destinato a convergere sempre di più.

Dott. Filippo D’Aniello