Piano di risanamento: l’attestazione delle veridicità dei dati aziendali
Il punto di partenza della presente analisi è rappresentato da quanto previsto dall’art. 67, terzo comma, lettera d) della Legge Fallimentare il quale – disponendo in merito al particolare strumento di composizione concordata della crisi di impresa rappresentato dal c.d. “piano attestato di risanamento” – attribuisce a un apposito “professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali e in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b)” il compito di “attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”.
Orbene, al fine di correttamente individuare l’esatta portata di una tale disposizione e quindi l’esatta natura del compito spettante al c.d. professionista “attestatore”, si rivela di fondamentale importanza l’analisi delle singole espressioni utilizzate dal professionista.
In effetti, proprio attraverso una tale operazione interpretativa, si scoprirà come ogni parola scelta dal legislatore non appare affatto casuale, ma espressamente voluta ad un fine bene preciso, quello di delineare con precisione il difficile compito del professionista “attestatore” di un piano di risanamento aziendale.
In primo luogo occorre considerare che il compito del professionista in discorso, una volta ricevuti dall’imprenditore in crisi sia il piano di risanamento che tutta la documentazione contabile di corredo, è quello specifico di “attestare”.
Pertanto, secondo quanto sostenuto da autorevole dottrina e partendo da una possibile analogia tra le parole “attestare” e “certificare”, il compito del professionista non sarà quello di raccogliere e descrivere i dati contabili dell’imprenditore o di limitarsi ad esprimere il proprio parere sul piano di risanamento, quanto piuttosto quello di “attestare” e quindi di verificare non solo la veridicità dei dati aziendali (che descrivono la situazione di partenza dell’impresa), ma anche l’idoneità del piano di risanamento e di ciascuna delle sue componenti (le scelte che si vogliono compiere, le operazioni che si intendono porre in essere, i mezzi che si vogliono impiegare ecc..) rispetto al raggiungimento dell’obiettivo perseguito di risanamento dell’impresa e di recupero del suo equilibrio patrimoniale, economico e finanziario.
Pertanto “attestare” vuol dire valutare, verificare, certificare.
Si tratta, ovviamente, di un compito di grande responsabilità e che richiede da parte del professionista “attestatore” l’osservanza di un forte grado di diligenza e la massima attenzione.
Infatti, nei piani attestati di risanamento, proprio dalla “attestazione” della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano deriveranno conseguenze importanti non solo per l’imprenditore in crisi, ma anche per l’intero ceto creditorio.
Infatti l’attestazione del piano di risanamento comporterà – ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d) della Legge Fallimentare – l’esenzione da eventuali azioni revocatorie di tutti i pagamenti e le operazioni che saranno poste in essere in esecuzione del piano “attestato”.
Parimenti, rispetto ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione del “piano attestato di risanamento”, è prevista apposita esenzione anche dal reato di “bancarotta” e ciò in virtù del chiaro disposto dell’art. 217 bis della Legge Fallimentare (“Esenzione dai reati di bancarotta”, la cui introduzione nella Legge Fallimentare è avvenuta per effetto del d.l. n. 78/2010, successivamente convertito nella legge legge 30 luglio 2010 n. 122).
Sempre in relazione al compito di “attestazione” devoluto al professionista indipendente occorre tenere presente che, secondo quanto previsto dal terzo comma dell’art. 67 della Legge Fallimentare, esso si estende anche alla “veridicità dei dati aziendali”.
Mette conto rilevare che una tale estensione è avvenuta per effetto delle innovazioni legislative introdotte con il decreto legge n. 83 del 22 giugno 2012 (c.d. decreto sviluppo), convertito nella legge n. 134 del 7 agosto 2012.
Infatti, prima di una tale modifica legislativa, il compito di attestazione non riguardava anche “la veridicità dei dati aziendali”, ma era solo limitato alla “ragionevolezza” (non quindi alla fattibilità) del piano.
La differenza di significato tra le due parole in discorso (verità e veridicità) non è di poco conto e ciò soprattutto in relazione al compito di “attestazione” attribuito al professionista di cui all’art. 67 della Legge Fallimentare.
Infatti, in considerazione del fatto che il professionista “attestatore” deve redigere la propria relazione utilizzando documentazione contabile proveniente dall’imprenditore e quindi da terzi soggetti, di certo non poteva essere previsto a suo carico il dovere di “attestare” addirittura la “verità” dei dati aziendali.
Il professionista “attestatore”, proprio in quanto soggetto estraneo all’impresa e alla sua gestione, non ha partecipato né all’elaborazione né alla raccolta di quei dati.
Per tale motivo il legislatore non richiede che ne attesti addirittura la “verità”, ma solo la “veridicità” intesa come analisi di verosimiglianza di quei dati come reali.
Anche in tal caso il professionista attestatore dovrà valutare i dati trasmessi alla stregua della situazione di partenza dell’impresa, delle ragioni della sua crisi e dovrà attestare che verosimilmente i dati trasmessi sono reali.
Anche in tal caso il professionista attestatore dovrà svolgere e sviluppare un ragionamento coerente ed esporre le ragioni che – guidando il suo iter logico ed argomentativo – lo inducono a rassegnare determinate conclusioni in tema di verosimiglianza e credibilità dei dati aziendali.
In tale ragionamento gioca, quindi, un ruolo fondamentale anche l’attendibilità della “fonte” da cui provengono i dati aziendali, la correttezza della metodologica adoperata per la loro raccolta e la loro trasmissione.
In ultimo si evidenzia che l’attestazione di veridicità dei dati aziendali si pone come presupposto logico dell’attestazione in ordine alla fattibilità dei piano e ciò soprattutto, nell’ambito di una procedura concordataria, a tutela dell’’interesse dei creditori a formare ed esprimere un consenso informato in merito alla convenienza del piano e della proposta formulati dall’imprenditore in crisi.
Ad un tale riguardo mette conto rilevare che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2130 del 31 gennaio 2014 ha posto debitamente in rilievo tale importante funzione dell’attestazione di veridicità dei “dati aziendali” ed ha affermato il fondante principio secondo cui tale attestazione rappresenta “il presupposto indispensabile per consentire ai creditori di valutare sulla base di dati reali la convenienza della proposta e la fattibilità economica del piano” (cfr. pag. 3 “Sul controllo del Tribunale in ordine alla veridicità dei dati aziendali in caso di cessione dei beni. Cassazione civile sez. I, 31 gennaio 2014, n. 2130”).
Le considerazioni sopra esposte rendono conto, quindi, del difficile compito svolto dal professionista “attestatore” e della grande responsabilità alla quale è esposto al cospetto dell’imprenditore in crisi e del ceto creditorio.
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Orbene, al fine di correttamente individuare l’esatta portata di una tale disposizione e quindi l’esatta natura del compito spettante al c.d. professionista “attestatore”, si rivela di fondamentale importanza l’analisi delle singole espressioni utilizzate dal professionista.
In effetti, proprio attraverso una tale operazione interpretativa, si scoprirà come ogni parola scelta dal legislatore non appare affatto casuale, ma espressamente voluta ad un fine bene preciso, quello di delineare con precisione il difficile compito del professionista “attestatore” di un piano di risanamento aziendale.
In primo luogo occorre considerare che il compito del professionista in discorso, una volta ricevuti dall’imprenditore in crisi sia il piano di risanamento che tutta la documentazione contabile di corredo, è quello specifico di “attestare”.
Pertanto, secondo quanto sostenuto da autorevole dottrina e partendo da una possibile analogia tra le parole “attestare” e “certificare”, il compito del professionista non sarà quello di raccogliere e descrivere i dati contabili dell’imprenditore o di limitarsi ad esprimere il proprio parere sul piano di risanamento, quanto piuttosto quello di “attestare” e quindi di verificare non solo la veridicità dei dati aziendali (che descrivono la situazione di partenza dell’impresa), ma anche l’idoneità del piano di risanamento e di ciascuna delle sue componenti (le scelte che si vogliono compiere, le operazioni che si intendono porre in essere, i mezzi che si vogliono impiegare ecc..) rispetto al raggiungimento dell’obiettivo perseguito di risanamento dell’impresa e di recupero del suo equilibrio patrimoniale, economico e finanziario.
Pertanto “attestare” vuol dire valutare, verificare, certificare.
Si tratta, ovviamente, di un compito di grande responsabilità e che richiede da parte del professionista “attestatore” l’osservanza di un forte grado di diligenza e la massima attenzione.
Infatti, nei piani attestati di risanamento, proprio dalla “attestazione” della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano deriveranno conseguenze importanti non solo per l’imprenditore in crisi, ma anche per l’intero ceto creditorio.
Infatti l’attestazione del piano di risanamento comporterà – ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d) della Legge Fallimentare – l’esenzione da eventuali azioni revocatorie di tutti i pagamenti e le operazioni che saranno poste in essere in esecuzione del piano “attestato”.
Parimenti, rispetto ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione del “piano attestato di risanamento”, è prevista apposita esenzione anche dal reato di “bancarotta” e ciò in virtù del chiaro disposto dell’art. 217 bis della Legge Fallimentare (“Esenzione dai reati di bancarotta”, la cui introduzione nella Legge Fallimentare è avvenuta per effetto del d.l. n. 78/2010, successivamente convertito nella legge legge 30 luglio 2010 n. 122).
Sempre in relazione al compito di “attestazione” devoluto al professionista indipendente occorre tenere presente che, secondo quanto previsto dal terzo comma dell’art. 67 della Legge Fallimentare, esso si estende anche alla “veridicità dei dati aziendali”.
Mette conto rilevare che una tale estensione è avvenuta per effetto delle innovazioni legislative introdotte con il decreto legge n. 83 del 22 giugno 2012 (c.d. decreto sviluppo), convertito nella legge n. 134 del 7 agosto 2012.
Infatti, prima di una tale modifica legislativa, il compito di attestazione non riguardava anche “la veridicità dei dati aziendali”, ma era solo limitato alla “ragionevolezza” (non quindi alla fattibilità) del piano.
La differenza di significato tra le due parole in discorso (verità e veridicità) non è di poco conto e ciò soprattutto in relazione al compito di “attestazione” attribuito al professionista di cui all’art. 67 della Legge Fallimentare.
Infatti, in considerazione del fatto che il professionista “attestatore” deve redigere la propria relazione utilizzando documentazione contabile proveniente dall’imprenditore e quindi da terzi soggetti, di certo non poteva essere previsto a suo carico il dovere di “attestare” addirittura la “verità” dei dati aziendali.
Il professionista “attestatore”, proprio in quanto soggetto estraneo all’impresa e alla sua gestione, non ha partecipato né all’elaborazione né alla raccolta di quei dati.
Per tale motivo il legislatore non richiede che ne attesti addirittura la “verità”, ma solo la “veridicità” intesa come analisi di verosimiglianza di quei dati come reali.
Anche in tal caso il professionista attestatore dovrà valutare i dati trasmessi alla stregua della situazione di partenza dell’impresa, delle ragioni della sua crisi e dovrà attestare che verosimilmente i dati trasmessi sono reali.
Anche in tal caso il professionista attestatore dovrà svolgere e sviluppare un ragionamento coerente ed esporre le ragioni che – guidando il suo iter logico ed argomentativo – lo inducono a rassegnare determinate conclusioni in tema di verosimiglianza e credibilità dei dati aziendali.
In tale ragionamento gioca, quindi, un ruolo fondamentale anche l’attendibilità della “fonte” da cui provengono i dati aziendali, la correttezza della metodologica adoperata per la loro raccolta e la loro trasmissione.
In ultimo si evidenzia che l’attestazione di veridicità dei dati aziendali si pone come presupposto logico dell’attestazione in ordine alla fattibilità dei piano e ciò soprattutto, nell’ambito di una procedura concordataria, a tutela dell’’interesse dei creditori a formare ed esprimere un consenso informato in merito alla convenienza del piano e della proposta formulati dall’imprenditore in crisi.
Ad un tale riguardo mette conto rilevare che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2130 del 31 gennaio 2014 ha posto debitamente in rilievo tale importante funzione dell’attestazione di veridicità dei “dati aziendali” ed ha affermato il fondante principio secondo cui tale attestazione rappresenta “il presupposto indispensabile per consentire ai creditori di valutare sulla base di dati reali la convenienza della proposta e la fattibilità economica del piano” (cfr. pag. 3 “Sul controllo del Tribunale in ordine alla veridicità dei dati aziendali in caso di cessione dei beni. Cassazione civile sez. I, 31 gennaio 2014, n. 2130”).
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