Convocazione per la dichiarazione di fallimento di società priva di legale rappresentante

Con la sentenza n. 7544 del 15 marzo 2023, la Corte di Cassazione ha fornito alcune precisazioni importanti in tema di convocazione, per la dichiarazione di fallimento, di una società priva di legale rappresentante.

Nel caso posto alla sua attenzione la Corte era chiamata a valutare la validità della vocatio in ius effettuata dal creditore istante (il fallimento di una s.r.l.), nell’ambito di un procedimento fallimentare, nei confronti di alcune società illimitatamente responsabili per le obbligazioni contratte dalla società propria debitrice, in quanto ritenute componenti, insieme alla stessa, di una società di fatto.

Queste società (in liquidazione), di cui era richiesto il fallimento e cui era indirizzato il decreto di convocazione alla relativa udienza, risultavano tuttavia sprovviste di un rappresentante legale: il liquidatore (comune ad entrambe) era infatti deceduto già anteriormente alla fase prefallimentare, e non era stato sostituito.

Ebbene, seguendo l’orientamento già affermato sul tema (si veda la n. 10754 del 17 aprile 2019), il Giudice di legittimità ha avuto modo di ribadire che una società il cui rappresentante legale sia deceduto e non sia stato sostituito, non può essere convenuta in giudizio, occorrendo, a tal fine, la nomina di  un curatore speciale ad processum ex art. 78 c.p.c. Senza quest’ultima, l’atto di citazione diretto alla società, al pari del processo svoltosi in sua assenza, deve ritenersi affetto da nullità, per impossibilità di valida instaurazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa, poiché è evidente che la parte convenuta, priva di rappresentante legale, non possa far valere i propri diritti.

Come noto, l’art. 75 c.p.c stabilisce infatti che “la rappresentanza processuale della persona giuridica spetta alle persone fisiche che, a norma della legge o dello statuto, ne hanno la rappresentanza sostanziale”: non si tratta di una rappresentanza eventuale, bensì di un modo di essere necessario delle persone giuridiche che per loro natura non possono agire in maniera immediata e diretta, ma solo mediante i loro organi.

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Per questo, l’art. 78 stabilisce  che “Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, e vi sono ragioni d’urgenza, può essere nominato (…) alla persona giuridica (…) un curatore speciale che li rappresenti o assista finché subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza”.

Come precisato già dalla giurisprudenza più risalente (C 7.12.1982, n. 6683) la mancanza va tuttavia inteso in senso stretto e la disposizione non trova applicazione quando le disposizioni statutarie o regolamentari prevedono a quali persone spetti, in caso di mancanza, la rappresentanza o l’assistenza.

Qualora la mancanza sia effettiva, però, il difetto relativo alla capacità processuale è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo il limite del giudicato: la domanda proposta dal soggetto incapace o nei suoi confronti senza rispettare le regole della rappresentanza legale è nulla e tale nullità si estende ai successivi atti del procedimento provocando la nullità dell’intero processo.

Del resto, una situazione di questo tipo si pone in rotta di collisione con il diritto costituzionale di cui all’art. 24 Cost.

L’esito non muta in relazione ai procedimenti fallimentari: sebbene le esigenze di speditezza sottese agli stessi diano ragione di una semplificazione del procedimento notificatorio tratteggiato dalla Legge fallimentare all’art. 15, comma 3, il principio in questione non può dirsi per ciò solo derogabile, come correttamente ribadisce la Cassazione nel caso in commento.

Ci si può chiedere, ulteriormente, quale sia il dovere del giudice che riconosca la nullità in questione in sede di appello: secondo un primo orientamento, questi dovrebbe limitarsi a una decisione sul rito, annullando la sentenza di primo grado senza alcuna pronuncia sul merito; mentre secondo una diversa opzione interpretativa, il giudice d’appello dovrebbe applicare analogicamente l’art. 354, rimettendo gli atti al giudice di primo grado, perché provveda alla sanatoria (nel nostro caso, alla nomina di un curatore speciale ad processum).

Nel caso posto all’attenzione della Corte con la decisione esaminata, peraltro, il difetto del presupposto processuale inerente l’invalidità della vocatio in ius nei confronti di una parte del processo prefallimentare,  secondo i giudici di legittimità, avrebbe dovuto comportare  – in quanto accertato in fase di reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento – la rimessione del giudizio al primo grado, sulla scorta della seconda ipotesi di cui all’art. 354 c.p: poiché le parti del processo prefallimentare dovevano ritenersi avvinte da un litisconsorzio necessario.

 

In conclusione, si può sottolineare che anche laddove non sia applicato l’art. 78 c.p.c., in caso di invalidità della vocatio in ius della società, può accadere che, sopravvenendo nel corso del giudizio la nomina del suo amministratore, la parte si costituisca in giudizio: in tal caso dovrebbe trovare applicazione la disposizione dell’art. 294 c.p.c., che consente al contumace, al momento di costituirsi in giudizio, di chiedere al giudice il compimento di attività che gli sarebbero precluse, nel caso in cui dimostri che la nullità dell’atto di citazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo ovvero che la costituzione gli è stata impedita da causa a lui non imputabile.

In tale ultima situazione dovrebbe pertanto escludersi che la nullità consumata si riverberi sull’intero giudizio.

 

Avv. Valerio D’Urso