Cancellazione società dal registro imprese: quali conseguenze?

Quali sono le conseguenze sui giudizi pendenti e in particolare sull’ammissibilità dell’impugnazione, in termini di legittimazione processuale, dell’estinzione di una società a seguito di cancellazione dal registro delle imprese ex art. 2495 c.c.?

Recentemente, la Cassazione (sez. lav., ud. 12/01/2023, dep. 28/04/2023, n.11278) ha ribadito il proprio orientamento sul punto, stabilendo che l’estinzione della società ne comporta la perdita di capacità processuale e il conseguente trasferimento di legittimazione processuale, attiva e passiva, in capo ai soci (sempre però che questi ne diano prova).

In particolare, se l’estinzione avviene durante la pendenza di un giudizio di cui è parte la società, si produce un evento interruttivo dello stesso, disciplinato dagli art. 299 ss. c.p.c. con eventuale prosecuzione o riassunzione ad opera o nei confronti dei soci, successori della società ex art. 110 c.p.c.

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Ove l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, purché dei presupposti della “legitimatio ad causam” sia da costoro fornita la prova.

Per la giurisprudenza di legittimità, infatti, il soggetto che proponga impugnazione ovvero vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, e deve altresì fornirne la prova : in difetto, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile (d’ufficio e anche in sede di legittimità) per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare.

Non basta insomma, indicare nell’atto di appello la qualità di socio per essere legittimati ad impugnare la sentenza emessa nei confronti della società estinta: occorre altresì allegare che si agisce in qualità di avente causa della società estinta e provare questa circostanza, poiché la qualità di ex socio non implica, necessariamente, la successione nella posizione giuridica. Nel dettaglio occorrerà allegare e dimostrare che, sulla base del bilancio finale di liquidazione della società, la pretesa creditoria in questione sia stata attribuita al socio che si ritiene avente causa, ovvero che, laddove essa non sia stata affatto oggetto di liquidazione né sia stata presa in considerazione nel bilancio finale di liquidazione, ciò non sia avvenuto in conseguenza di una tacita rinunzia alla stessa, ma per altre ragioni (che l’impugnante dovrà, ove occorra, indicare in modo puntuale e documentare),

Se addirittura ci si limita ad impugnare in qualità di “soci” (e non già in qualità di aventi causa della società) il problema, dunque, concerne l’allegazione prima ancora che la prova: o meglio l’idoneità, già in astratto, della qualità spesa nell’atto di appello a legittimare l’impugnazione. Pertanto, la Cassazione in altre pronunce ha escluso l’estendibilità analogica, a queste ipotesi, della disciplina di cui all’art. 182 comma 2 c.p.c. (Cassazione civile sez. III, 14/09/2020, n.25869) che stabilisce che “il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza (..)” e che “L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”. Questa disposizione può essere infatti estesa solo alla fattispecie in cui la parte, pur mancando di fornire la prova della legitimatio ad causam, abbia comunque prospettato la legittimazione in modo coerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (v. Cass. 17/06/2014, n. 13711).

Dott. Giuseppe Tarabuso