
Incidente stradale, quando il danno da perdita della vita non viene riconosciuto
La Suprema Corte, con la sentenza n. 21453 depositata il 25 ottobre 2016, ha escluso il diritto dei famigliari di una vittima di incidente stradale ad ottenere il risarcimento del danno psichico derivante da lutto, nonché quello per perdita della vita, essendo trascorso un lasso temporale troppo esiguo tra il ricovero in ospedale della vittima e il decesso.
Il caso di specie si riferisce ad un incidente stradale nel quale perdeva la vita una giovane ragazza che viaggiava in un minibus noleggiato dall’associazione sportiva nella quale questa era iscritta.
I familiari della vittima convenivano in giudizio il conducente dell’autoveicolo, la proprietaria di quest’ultimo, l’assicurazione, la società che aveva la disponibilità del minibus e l’associazione sportiva noleggiante, chiedendo di essere risarciti di ogni danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello riconoscevano il diritto degli attori ad essere risarciti per il c.d. danno morale, inteso sia come turbamento dello stato d’animo sia come sconvolgimento della vita familiare, escludendo tuttavia il risarcimento iure proprio, del danno psichico e del danno esistenziale.
Adivano la Suprema Corte i fratelli della vittima, i quali, in persona del proprio difensore, proponevano ricorso dolendosi del mancato riconoscimento, da parte della Corte Territoriale, del danno psichico derivante da lutto e quello per perdita della vita.
Gli Ermellini ritenevano infondate le ulteriori pretese avanzate dai familiari della vittima, in pieno rispetto del principio, sancito dallo stesso giudice di legittimità, secondo il quale “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionato da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibili solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo un brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass., civ., n. 5684/2016; Cass., civ., n. 1535/2015).
Per quanto su esposto, la Suprema Corte rigettava il ricorso avanzato dai familiari della vittima.
Dott. Marco Conti

Incidente stradale, quando il danno da perdita della vita non viene riconosciuto
La Suprema Corte, con la sentenza n. 21453 depositata il 25 ottobre 2016, ha escluso il diritto dei famigliari di una vittima di incidente stradale ad ottenere il risarcimento del danno psichico derivante da lutto, nonché quello per perdita della vita, essendo trascorso un lasso temporale troppo esiguo tra il ricovero in ospedale della vittima e il decesso.
Il caso di specie si riferisce ad un incidente stradale nel quale perdeva la vita una giovane ragazza che viaggiava in un minibus noleggiato dall’associazione sportiva nella quale questa era iscritta.
I familiari della vittima convenivano in giudizio il conducente dell’autoveicolo, la proprietaria di quest’ultimo, l’assicurazione, la società che aveva la disponibilità del minibus e l’associazione sportiva noleggiante, chiedendo di essere risarciti di ogni danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello riconoscevano il diritto degli attori ad essere risarciti per il c.d. danno morale, inteso sia come turbamento dello stato d’animo sia come sconvolgimento della vita familiare, escludendo tuttavia il risarcimento iure proprio, del danno psichico e del danno esistenziale.
Adivano la Suprema Corte i fratelli della vittima, i quali, in persona del proprio difensore, proponevano ricorso dolendosi del mancato riconoscimento, da parte della Corte Territoriale, del danno psichico derivante da lutto e quello per perdita della vita.
Gli Ermellini ritenevano infondate le ulteriori pretese avanzate dai familiari della vittima, in pieno rispetto del principio, sancito dallo stesso giudice di legittimità, secondo il quale “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionato da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibili solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo un brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass., civ., n. 5684/2016; Cass., civ., n. 1535/2015).
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