Peculato per il dipendente che naviga su internet a lavoro

ottobre 17th, 2023|Cesare Cara, Diritto penale|

Particolare attenzione in riferimento all’argomento qui oggetto di trattazione è la sentenza numero 40702/23 pubblicata il 5 ottobre 2023 dalla sesta sezione penale della Corte di Cassazione.

Il caso di specie oggetto della predetta pronuncia riguarda la posizione di un ex dirigente degli acquisti in una società a partecipazione mista il quale si è ritrovato coinvolto in un contenzioso legale azionato proprio dall’azienda di cui era dipendente, con l’accusa di aver commesso il reato di peculato d’uso.

Tale reato trova collocazione nel codice penale all’art. 314, comma 2, disposizione che statuisce, testualmente, che “si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”.

Si configura il peculato d’uso, dunque, quando il colpevole, dopo aver usato la cosa pubblica, la restituisce.

La norma tutela non solo il patrimonio delle aziende e della Pubblica Amministrazione ma anche e soprattutto il suo buon andamento. Ecco perché si può rispondere di peculato d’uso anche in mancanza di danno patrimoniale, perché comunque distogliendo il bene pubblico dalla sua funzione anche momentaneamente si provoca una lesione alla funzionalità dell’ufficio.

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Sono tipici casi di peculato d’uso quelli del dipendente dell’ente pubblico che utilizzi il telefono d’ufficio o l’auto di servizio per fini personali (al di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche autorizzazioni). Fondamentale in materia è la causazione di un “danno apprezzabile” o una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, come stabilito da Cassazione penale sez. III, Sent.19-12-2018, n. 57517.

Nel caso in questione la “violazione” concerne l’erronea modalità di utilizzo della rete internet. Il dipendente era stato assolto in prima istanza, e in appello veniva confermata tale statuizione. La Corte di Cassazione ha, invece, accolto il ricorso presentato dall’azienda, stabilendo che il comportamento del dipendente costituiva effettivamente peculato d’uso.

La sentenza numero 40702/2023 del 5 ottobre 2023, in particolare, sottolinea come si possa parlare di peculato nella Pubblica Amministrazione o in un’azienda anche quando un dipendente sfrutta le risorse tecnologiche della stessa per finalità personali, come la navigazione sul Web, sebbene non ci sia un danno economico. Il peculato è, dunque, escluso solo se l’uso occasionale del bene di servizio non lede la funzionalità dell’ufficio. I giudici specificano che il danno economico può essere escluso perché la tariffa di navigazione è flat e non a consumo, tuttavia l’uso eccessivo di Internet per ragioni personali comporta una distrazione per il lavoratore, che non esegue le sue mansioni e lede l’operatività dell’ufficio.

La questione centrale in discussione riguardava l’uso del tempo durante l’orario di lavoro da parte del dirigente, che dedicava almeno quattro o cinque ore al giorno alla navigazione su Internet per perseguire le sue passioni personali.

Il risultato di questa abitudine era che il computer dell’ufficio era pieno di materiale di natura privata piuttosto che aziendale.

Una perizia informatica disposta d’ufficio ha, infatti, dimostrato che l’uso privatistico del computer aziendale era tutto fuorché “episodico e modesto”.

In effetti, questa pratica si era dimostrata così frequente che aveva portato al licenziamento del dipendente a causa della gravità del suo comportamento.

La sentenza della Cassazione, tuttavia, ha ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente, reo di aver usato Internet per diverse ore sul lavoro, anche scaricando materiale sul pc aziendale. Sulla materia bisogna dire che le sentenze sono spesso contrastanti tra loro, richiedendo pertanto una valutazione caso per caso.

Solo pochi anni fa, la stessa Cassazione, con la sentenza numero 14862/2017 aveva, invece, stabilito la legittimità del licenziamento del lavoratore per abuso di Internet al lavoro. Nel caso specifico l’aggravante era data dagli accessi indebiti alla rete anche in relazione a ai relativi tempi di collegamento non legati all’attività lavorativa svolta.

Dott. Cesare Cara