Inadempimento del preliminare: quali sono gli strumenti di tutela?

Il contratto preliminare, noto anche come “compromesso”, è quel contratto prodromico che ha ad oggetto l’obbligo per le parti di stipulare un successivo contratto: il c.d. contratto definitivo.

In materia di contratto preliminare, la norma di riferimento è l’articolo 1351 c.c. che si limita a prevederne la nullità laddove non sia fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo.

Il contratto preliminare, sebbene, dunque, appartenga ad una fase embrionale della trattativa tra i contraenti, presenta un contenuto e una forma specifici.

Infatti, il contratto preliminare “non è più visto come un semplice pactum de contrahendo, ma come un negozio destinato già a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il definitivo, sicché il suo oggetto è non solo e non tanto un facere, consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto un sia pure futuro dare” (Cass. civ., S.U., 18 maggio 2006, n. 11624).

Può, tuttavia, accadere che una delle parti, una volta firmato il preliminare, non voglia addivenire alla stipula del contratto definitivo, rendendosi, per tal motivo, inadempiente rispetto agli obblighi assunti nel contratto preliminare.

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Cosa fare, quindi, in caso di inadempimento del preliminare?

Ai sensi dell’articolo 1453, primo comma, c.c., “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”.

In primo luogo, il soggetto che voglia ottenere la conclusione del contratto definitivo e, quindi, porre rimedio all’inadempimento della controparte, può chiedere all’autorità giudiziaria o l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. o la risoluzione del contratto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1453 e ss. c.c., alle quali può fare seguito la domanda di risarcimento del danno patito in conseguenza dell’inadempimento.

L’art. 2932 c.c. prevede, infatti, che “se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso”.

Per poter chiedere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. di un contratto preliminare è necessario, tuttavia, che vengano osservati due presupposti:

– nel preliminare devono sussistere tutti gli elementi essenziali per la stipula del contratto definitivo;

– la parte che agisce deve aver eseguito la propria prestazione

In alternativa all’adempimento in forma specifica del contratto preliminare, il contraente adempiente può chiederne altresì la risoluzione.

Al secondo comma dell’art. 1453 c.c. si stabilisce, infatti, che “la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione”; inoltre, dal momento in cui viene proposta domanda di risoluzione, viene preclusa alla parte inadempiente la possibilità di adempiere la propria obbligazione.

Vi è, poi, uno strumento che consente una tutela immediata di entrambe le parti in caso di inadempimento del “compromesso”: al momento della stipula del contratto preliminare, una parte – di solito il promissario acquirente – consegna all’altra parte una somma, a titolo di caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c., a garanzia della serietà dell’impegno assunto.

La caparra confirmatoria ha “la funzione di liquidare convenzionalmente il danno da inadempimento in favore della parte non inadempiente che intenda esercitare il potere di recesso conferitole ex lege, sicché, ove ciò avvenga, essa è legittimata a ritenere la caparra ricevuta ovvero ad esigere il doppio di quella versata; qualora, invece, detta parte preferisca agire per la risoluzione ovvero l’esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno va provato nell’an e nel quantum” (Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2020, n. 20532).

Dott.ssa Camilla Di Giammarco