Immigrati, cosa fare se la richiesta di cittadinanza viene respinta senza motivazione

maggio 28th, 2013|Risposte di Scicchitano|

Egregio Professore,

sono un cittadino marocchino residente in Italia da circa trent’anni, con permesso di soggiorno permanente, pienamente integrato nella realtà economico-sociale del nostro Paese e seriamente impegnato nella costruzione e diffusione di un dialogo pacifico fra la cultura italiana e quella musulmana.

Qualche mese fa ho avviato le pratiche per ottenere la concessione della cittadinanza italiana ma il Ministero dell’Interno ha respinto la mia domanda senza fornirmi alcuna chiara spiegazione in proposito. Si è basato solo sul presupposto che “dall’istruttoria esperita, sono emersi elementi riguardanti la sicurezza della Repubblica, tali da non rendere opportuna la concessione della cittadinanza italiana”.

Per comprendere meglio le ragioni del diniego ho presentato istanza di accesso agli atti del mio fascicolo ma detta richiesta è stata rigettata perchè trattasi di documentazione coperta da segreto.

Mi chiedo se il comportamento dell’Amministrazione sia legittimo e quali possano essere i rimedi esperibili per contrastare il diniego ricevuto.

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Egregio Signore,

dalla Sua richiesta sembra emergere che il diniego dell’Amministrazione sia illegittimo per violazione dell’art. 3 (Motivazione del provvedimento) L. 241/1990.

Detta disposizione di legge – come noto – impone all’Amministrazione di motivare il provvedimento adottato, con indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che l’hanno determinata all’adozione del provvedimento medesimo.

Nel caso di specie, tuttavia, la motivazione sembra essere mancata, nella misura in cui le ragioni fondanti l’adozione del decreto di diniego sono insufficienti a conferire legittimità al provvedimento medesimo.

Stando a quanto riferito, il Ministero dell’Interno, richiamando per relationem gli atti istruttori contenuti nella Sua pratica, a supporto del diniego adottato si è semplicemente limitato ad affermare che “dall’attività informativa esperita sono emersi elementi attinenti la sicurezza della Repubblica tali da non rendere opportuna la concessione della cittadinanza allo straniero”.

Così stando le cose, l’Amministrazione non avrebbe detto effettivamente nulla in merito alle ragioni che ostano alla concessione della cittadinanza.

Sul punto occorre osservare che, pur essendo in generale ammessa dalla costante Giurisprudenza la cosiddetta “motivazione per relationem”, la stessa nel caso di specie è inammissibile e come tale rende il provvedimento impugnato illegittimo.

Ciò in quanto, perché la cosiddetta “motivazione per relationem” sia ammissibile, è necessario che la stessa richiami in modo preciso i documenti che la supportano.

L’art. 3 L. 241/90 consente, infatti, all’Amministrazione di esternare le ragioni del provvedimento assunto con motivazione per relationem ma pone due obblighi. Il primo dei quali necessario, il secondo eventuale. E cioè: (a) il primo, indefettibile, concerne il richiamo espresso all’altro atto che contiene la motivazione e, se necessario, la precisa indicazione delle parti cui si intende fare riferimento; (b) il secondo, eventuale, consistente nella messa a disposizione (in visione o in copia) dell’atto richiamato, azionabile solo ad istanza di parte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24.10.2000, n. 5711).

Alla luce della pronuncia appena richiamata, è chiaro che il provvedimento in questa sede gravato è illegittimo perché adottato con eccesso di potere e carenza di motivazione.

Inoltre, anche a voler ritenere valida ed efficace la motivazione per relationem dell’Amministrazione, il provvedimento di diniego dovrà essere ritenuto illegittimo anche per un altro ordine di motivi.

Ciò in ragione del fatto che l’Amministrazione, nell’affermare la sussistenza di motivi afferenti la sicurezza della Repubblica, non ha in alcun modo illustrato la fondatezza e la consistenza dei motivi medesimi.

E’ indubbio che la materia di cui trattasi sia connotata da una forte discrezionalità in capo all’Amministrazione competente, che è chiamata ad esercitare un potere (discrezionale anch’esso) in relazione al quale il diritto soggettivo del soggetto istante (rectius lo straniero) si affievolisce innanzi all’interesse legittimo della collettività a vedere tutelata la sicurezza nazionale.

Tuttavia, malgrado quanto sopra, va comunque rilevato che l’indicazione generica di “motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”, con un richiamo anch’esso generico all’attività informativa esperita, è insufficiente a motivare il diniego di cittadinanza, non potendo i richiamati elementi costituire una motivazione valida a supporto del diniego stesso.

A tal proposito sembra rilevante notare quanto statuito dalla Giurisprudenza, per la quale “Nei confronti del cittadino straniero, la cui domanda di acquisto della cittadinanza è stata rigettata – sulla base di non meglio specificati “motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica” – in presenza dell’art. 7 comma 1, l. 5 maggio 1992 n. 91 che vincola il Ministro competente, ove respinga l’istanza, a farlo “con decreto motivato”, anche per relationem, sussiste pur sempre, da parte della p.a., un obbligo di motivazione che, se non può configurarsi nei termini di cui all’art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, non essendo sempre possibile rendere note, per ragioni di riservatezza, le risultanze dell’istruttoria ha, come contenuto minimo, la chiara indicazione, pur in termini ridotti all’essenziale, della ragione ostativa all’accoglimento della domanda, ossia dei fatti o sospetti determinanti il diniego, in modo da consentire all’interessato la loro confutazione(cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, 27.10.2004; TAR Liguria, sede Genova, Sez. II, 25.10.2007).

Rapportando le citate pronunce al caso di specie, risulterà chiara l’illegittimità del provvedimento di diniego di cittadinanza, che potrà essere impugnato innanzi al TAR Lazio nel termine di 60 giorni dalla sua emissione o comunicazione.

In difetto è possibile esperire, ma solo per motivi di legittimità, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nel termine di 120 giorni dalla sua emissione o comunicazione.

Sergio Scicchitano