Guida in stato d’ebbrezza: è possibile usare le analisi del sangue post-ricovero

Su richiesta della PG per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza sono utilizzabili nei confronti dell’imputato gli esami delle analisi successive al ricovero presso una struttura ospedaliera.

La Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, con la sentenza del 23 novembre 2017 n. 53275 ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso nel caso de quo dalla Corte di Appello di Brescia.

Nella fattispecie la Corte si è pronunciata a favore della Corte d’Appello, la quale ha confermato la sentenza del tribunale di primo grado che aveva dichiarato un cittadino responsabile penalmente in ordine al reato di cui all’art. 186, comma 2 lett. c), cod. strada, aggravato dall’aver provocato un incidente stradale, condannandolo alla pena di anni 1 di arresto e euro 3.300 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, con due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta in sostanza che il reato è stato accertato mediante il referto ematochimico effettuato in ospedale nei confronti dell’imputato il giorno dell’incidente, unitamente alla deposizione dell’agente di PS.

Con il secondo motivo lamenta che il prelievo ematico veniva effettuato esclusivamente per fini processuali, senza il previo consenso del prevenuto e senza che l’autorità competente avesse adottato un provvedimento specifico che lo disponesse, in violazione dell’art. 13 Cost.

I Magistrati del Palazzaccio con la suddetta sentenza hanno pertanto rigettato il ricorso ritenendo i motivi non fondati per costante giurisprundenza.

Difatti gli Ermellini hanno precisato sul punto che: “ i risultati del prelievo ematico, effettuato a seguito di incidente stradale durante il successivo ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica su richiesta della polizia giudiziaria, sono utilizzabili nei confronti dell’imputato per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso (si veda Corte di Cassazione, Sez. IV, n. 10605 del 15/11/2012 circa il rilievo del dissenso esplicito dell’indagato all’indagine in questione)”.

Sicché ha precisato la Corte: “Ciò che rileva in questi casi non è la mancanza del consenso, ma il dissenso esplicito dell’indagato all’indagine in questione, che costituisce l’unica condizione che rende irrituale il prelievo”.

Si tratta di una ponderata valutazione di merito, congrua e non manifestamente illogica, come tale insindacabile in cassazione.

Dott. Vincenzo Di Capua