LA CASSAZIONE DICE NO ALL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO SE I FIGLI POSSONO LAVORARE.

ottobre 13th, 2020|Articoli, News|

La Suprema Corte con la sentenza n. 17183 del 2020 ha respinto un ricorso presentato da una madre la quale contestava la revoca dell’assegno di mantenimento dell’ex marito, rivolto al figlio trentatreenne, il quale pur lavorando non era economicamente autosufficiente, e dell’assegnazione della casa familiare, essendo il figlio parzialmente convivente con la madre.

La Cassazione ha sostenuto che non sia possibile continuare a versare l’assegno di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni, qualora essi abbiano effettuato scelte irresponsabili o “in mala fede” al solo fine di ricevere il sostentamento.

Ai sensi dell’articolo 337 septies c.c., il pagamento di un assegno periodico in favore del figlio maggiorenne, previa dichiarazione giudiziale, avviene a seguito della verifica della necessità dello stesso sulla base delle circostanze del caso concreto.

Facendo leva sul principio di auto responsabilità, la Suprema Corte sottolinea come sia necessario per rendersi autosufficienti  “ridurre le pretese adolescenziali” una volta raggiunta la capacità lavorativa, in modo da evitare di ricorrere all’assistenzialismo solo per abusare del proprio diritto. Con capacità lavorativa si intende il termine degli studi sia liceali che universitari i quali permettano di trovare un’occupazione, da valutare a seconda delle circostanze del caso concreto, non essendo possibile fissare un’età determinata.

Riguardo, invece, all’assegnazione della casa familiare, la permanenza risulta solo qualora la coabitazione sia stabile e continua.

Difatti, nel caso di specie, il figlio lavorava saltuariamente come supplente, con redditi modesti però significativi e coabitava solo sporadicamente con la madre.

Inoltre, l’onere della prova viene ad essere invertito e grava sul richiedente, il quale dovrà provare la propria non autosufficienza e soprattutto le ragioni che hanno ostacolato l’indipendenza.

Ecco, pertanto spiegate le ragioni che hanno portato la Suprema Corte a questa conclusione.

 

Fonte foto: database freepik

 

                                                                                                                                                                                                              Dott. Matteo Veraldi