L'art. 2 del nuovo “codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” e l’approccio interno-previsionale alla crisi.
L’art. 2 del “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” definisce la crisi d’impresa come “lo stato di difficoltà economico – finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
Nel dare rilevanza alla “probabile insolvenza”, ricavata da un esame dei “flussi di cassa prospettici” e della loro idoneità “a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”, il Governo dimostra di avere ben adempiuto all’invito del legislatore delegante di “introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica “(art. 2 lettera c) della legge delega n. 155/2017.
Infatti il Governo, nell’ispirarsi al modo in cui la scienza aziendalistica si è in passato approcciata alla tematica della crisi d’impresa, ha ritenuto di dover dare seguito al criterio di approccio c.d. interno – previsionale, consistente nel ritenere sussistente lo stato di crisi aziendale ogni qualvolta l’esame dei programmi strategici predisposti dall’imprenditore, e in particolar modo l’esame dei piani finanziari, consenta di ritenere probabile che in futuro i flussi di cassa non saranno più idonei ad assicurare il regolare adempimento delle obbligazioni attuali o programmate dall’imprenditore, generando quindi il probabile insorgere della futura insolvenza.
Tale approccio era stato, peraltro, condiviso anche anche dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) che, in data 30 ottobre 2015, ha elaborato un documento denominato “Informativa e valutazione nella crisi d’impresa”, contenente le Linee Guida per “definire gli elementi economico-aziendali qualificanti l’informativa e la valutazione della crisi d’impresa”
In tale documento infatti, a pag. nn. 15 e 16, si legge testualmente “Nel documento si privilegia un approccio aziendalistico che risulti funzionale ad un inquadramento anche giuridico della crisi….In linea con il predetto approccio, la nozione di crisi viene definita, senza pretese di esaustività e di rigore scientifico, sulla base del concetto di “incapacità corrente dell’azienda di generare flussi di cassa, presenti e prospettici, sufficienti a garantire l’adempimento delle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate”.
Appare allora evidente il senso di continuità che rispetto a tale impostazione ha ispirato l’art. 2 del nuovo Codice della Crisi d’impresa.
Inoltre il nuovo Codice della Crisi d’impresa prevede una serie di strumenti di diagnosi i quali, seppur non costituiscano un numerus clausus, sono indicatori della crisi d’impresa.
Tra questi strumenti in primo luogo figurano gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, da considerare in rapporto alle specifiche caratteristiche dell’impresa debitrice, tenuto conto anche della data di costituzione e d’inizio dell’attività e rilevabili attraverso indici sviluppati da autorevoli Organismi Nazionali ed Internazionali, tra i quali il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti Contabili.
Non si potrà considerare “attuale” lo stato di crisi dell’impresa debitrice qualora le suesposte valutazioni evidenzino:
1) una capacità di sopportazione debitoria, da parte dell’impresa, per almeno i sei mesi successivi;
2) una prospettiva di continuità aziendale per l’esercizio in corso o per i sei mesi successivi quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi.
Ai fini dell’elaborazione di tali stime, tra i predetti indici elaborati sono particolarmente significativi:
1) quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi.
2) i reiterati e significativi ritardi nei pagamenti. La norma a titolo esemplificativo prevede:
- a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 60 giorni per un ammontare superiore alla metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
- b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 120 giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- c) altri debiti rilevanti scaduti, tra i quali, a titolo esemplificativo, debiti erariali e previdenziali, rate di mutuo non pagate, premi assicurativi relative a polizze scadute, canoni di locazione non versati, ecc.;
3) il superamento, nell’ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre 3 mesi, degli indici elaborati dagli Organismi nazionali ed internazionali, ai sensi dell’articolo 13, comma 2;
Orbene, la valutazione globale, prodottasi attraverso l’utilizzo congiunto di tali strumenti diagnostici, costituirà il processo di analisi circa la sussistenza o meno dello stato di crisi.
Dalle raccomandazioni guida elaborate dal CNDCEC si evince che le imprese dovrebbero, con cadenza almeno trimestrale, calcolare le probabilità di crisi futura, attraverso l’utilizzo di tali strumenti diagnostici. Strumenti i quali, tuttavia, sono utilizzabili solo da imprese con adeguati sistemi di controllo gestionale, pertanto richiedendosi delle implementazioni per quelle imprese non dotate di adeguati sistemi di monitoraggio e di pianificazione strategica.
L’impresa che non ritenga adeguati alle proprie caratteristiche gli indici del CNDCEC può specificarne le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio ed indicare gli indici più idonei – in relazione alla propria struttura – a fare ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi. Ciò è espressione specifica del più ampio principio generale del diritto contabile, secondo cui le deroghe ai principi contabili enunciati dal codice civile sono consentite in casi eccezionali, purché la nota integrativa motivi la deroga. Conseguentemente, lo scostamento dagli indici valutativi dello stato di crisi può essere consentito purché se ne indichino le ragioni nella nota integrativa. La necessità della motivazione in nota integrativa è giustificata dal fatto che, attraverso la scelta di altri strumenti diagnostici rispetto a quelli indicati dagli Organismi nazionali ed internazionali, potrebbe essere anticipata ovvero posticipata la rilevazione dello stato di crisi.
In conclusione deve rilevarsi che, finalmente, il nuovo Codice della Crisi di Impresa sembra fornire agli operatori del diritto quegli strumenti di rilevazione della crisi aziendale sino ad oggi mancanti nell’ordinamento concorsuale.
Non resta, quindi, che attendere e studiare gli effetti che i parametri introdotti con la riforma avranno anche in termini di tempestività nella rilevazione della crisi aziendale.
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Infatti il Governo, nell’ispirarsi al modo in cui la scienza aziendalistica si è in passato approcciata alla tematica della crisi d’impresa, ha ritenuto di dover dare seguito al criterio di approccio c.d. interno – previsionale, consistente nel ritenere sussistente lo stato di crisi aziendale ogni qualvolta l’esame dei programmi strategici predisposti dall’imprenditore, e in particolar modo l’esame dei piani finanziari, consenta di ritenere probabile che in futuro i flussi di cassa non saranno più idonei ad assicurare il regolare adempimento delle obbligazioni attuali o programmate dall’imprenditore, generando quindi il probabile insorgere della futura insolvenza.
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Appare allora evidente il senso di continuità che rispetto a tale impostazione ha ispirato l’art. 2 del nuovo Codice della Crisi d’impresa.
Inoltre il nuovo Codice della Crisi d’impresa prevede una serie di strumenti di diagnosi i quali, seppur non costituiscano un numerus clausus, sono indicatori della crisi d’impresa.
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1) una capacità di sopportazione debitoria, da parte dell’impresa, per almeno i sei mesi successivi;
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