Crisi d’impresa. Gli Stakeholders

ottobre 5th, 2018|IMPRESE|

La buona riuscita di un piano di risanamento dipende anche dalla solidità del rapporto che l’imprenditore in crisi ha con i cosidetti stakeholders.

Vediamo, quindi, chi sono gli “stakeholders” e l’importanza che ricoprono nella crisi d’impresa e nell’elaborazione di un piano di risanamento idoneo a porvi rimedio.

Occorre partire dalla considerazione che la crisi di un’impresa non rappresenta un elemento isolato e a sé stante, scevro di conseguenze all’esterno, in quanto l’impresa opera all’interno di un tessuto economico e con l’ambiente esterno si relaziona costantemente e quotidianamente.

Per tale motivo sono quindi molteplici i soggetti che, a vario titolo, entrano in contatto con l’impresa durante il suo normale ciclo produttivo e che ne condizionano il modus operandi.

Proprio tali soggetti (che autorevole dottrina ha individuato e distinto per categorie) subiscono quindi gli effetti a cascata della “crisi” dell’impresa in quanto l’interruzione o il deterioramento del rapporto che prima della crisi avevano con l’imprenditore potrebbe determinare anche per loro una situazione di difficoltà economica.

Ne consegue che tali soggetti, nell’ipotesi in cui l’impresa entri in crisi, hanno un evidente interesse a collaborare con l’imprenditore per assicurare la continuazione dell’attività aziendale e, quindi, devono necessariamente essere coinvolti nell’elaborazione del piano di risanamento.

Già negli anni ’80 l’economista Edward Freeman ebbe ad elaborare una esatta individuazione, a largo spettro, di tutte le categorie di soggetti coinvolti nella crisi di impresa in qualità di stakeholders.

Le teorie di tale insigne economista ebbero, conseguentemente, una risonanza a livello europeo.

A titolo meramente esemplificativo si ripartano di seguito alcune tipologie che la dottrina classica considera come stakehoders e, in quanto tali, coinvolti nella gestione della crisi di impresa.

In primo luogo si consideri il ruolo dei “dipendenti” dell’impresa in crisi, interessati ad assicurare la continuazione dell’attività d’impresa per mantenere il posto di lavoro.

Viene poi in considerazione la categoria dei cosiddetti “fornitori”, anch’essi interessati al salvataggio dell’impresa in quanto voglio continuare proseguire nei loro rapporti commerciali con la stessa e, al contempo, possono essere anche creditori dell’impresa.

I creditori, per altro verso, sono interessati a contribuire alla continuazione dell’impresa in quanto in tal modo possono mantenere intatte le loro ragioni di credito che invece, nell’ipotesi di avvio di una procedura concorsuale, potrebbero esse pregiudicate attraverso il meccanismo dell’esdebitazione connesso a quasi tutte le procedure concorsuali.

Anche i soci dell’impresa in crisi hanno un interesse a conoscere le modalità di superamento stato di crisi in quanto sono interessati a conoscere le prospettive di ristrutturazione dell’impresa alla quale partecipano.

I clienti, invece, rappresentano una categoria interessata alla ripresa dell’azienda in crisi in quanto vorrebbero evitare i c.d. “costi di transizione”, ad esempio il dover sostenere spese per il recupero coattivo del credito o lo spostarsi da un fornitore all’altro per cambiare a volte prodotto.

Persino l’intera collettività sociale ed il “sistema economico” sono portatori di un interesse superindividuale ad evitare l’interruzione di un’attività di impresa e l’apertura di procedure concorsuali nell’ambito delle quali, a volte e nelle ipotesi peggiori, può verificarsi il dissolvimento dell’impresa.

Occorre poi considerare il ruolo delle Banche, interessate (o per lo meno tali dovrebbero essere) a garantire la continuazione dell’attività aziendale delle imprese finanziate per poter ottenere il rientro delle linee di credito concesse all’imprenditore in crisi.   

Accanto a tali tipologie classiche di stakeholders ve ne sono molte altre e, in particolar modo, sono considerati tali anche: i movimenti di protesta, i sindacati di categoria, le associazioni tra imprenditori, gli enti locali e a volte persino gli organi di Governo.

Purtroppo deve rilevarsi che nel nostro ordinamento – mentre nell’ipotesi in cui la crisi d’impresa investe grandi realtà imprenditoriali l’ausilio da parti delle istituzioni è solitamente garantito attraverso il ricorso alla c.d. decretazione d’urgenza (proprio in tale decretazione sono stati infatti inizialmente inseriti i concetti di risanamento e ristrutturazione aziendale) – allorquando la crisi investe la piccola o media impresa l’imprenditore viene, ancora oggi, a trovarsi in un isolamento quasi globale, non solo da parte dei suoi clienti o fornitori abituali, ma anche da parte delle stesse istituzioni.

Probabilmente tale disparità di trattamento dipende, ancora oggi, dall’idea che la crisi di un’impresa di piccole o medie dimensioni non possa compromettere interessi di carattere generale o pubblico e dalla mancata considerazione del fatto che, invece, proprio nell’ipotesi delle piccole e medie imprese (dove il fattore umano assume un ruolo centrale) la crisi è maggiormente avvertita ed aggravata proprio dalla mancanza di norme a tutela degli imprenditori onesti ma sfortunati.

Ne consegue che, soprattutto nelle piccole e medie imprese, l’elaborazione di un programma di risanamento con il coinvolgimento degli stakeholders aziendali significa, per l’imprenditore in crisi, uscire dall’isolamento e lanciare un messaggio chiaro e cioè che: l’unione fa la forza.

Ovviamente l’imprenditore in crisi dovrà rivolgersi ad un professionista che, munito della necessaria esperienza, rappresenti l’intermediario ideale nei rapporti con il ceto creditorio e con tutti coloro che sono interessati al risanamento e al rilancio dell’impresa.

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