Evasione fiscale, giudice penale non vincolato all’accertamento del giudice tributario

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39789 depositata in data 16 settembre 2016, coglie l’occasione per ribadire, nell’ambito dei reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, l’assoluta autonomia e indipendenza del giudice penale rispetto alle risultanze prodotte dinanzi al giudice tributario, sia in termini di accertamento della condotta criminosa, sia in termini di determinazione dell’ammontare dell’eventuale imposta evasa.

Nel caso di specie, l’imputato, era stato condannato in primo grado alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in quanto in qualità amministratore di una s.n.c., aveva omesso di dichiarare l’imposta sul valore aggiunto per diversi periodi d’imposta.

I giudici d’appello, in parziale riforma del provvedimento emesso dal giudice di prime cure, stante l’avvenuta prescrizione dei reati relativi a due dei tre capi d’imputazione, rideterminava la pena condannando l’imputato a 8 mesi di reclusione.

L’imputato, in persona del proprio legale, ricorreva presso la Suprema Corte, dolendosi di un vizio motivazionale che, a dire della difesa, avrebbe inficiato il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Roma, nella parte in cui questo risultava mancare di una rielaborazione critica del materiale probatorio reperito in seguito ad attività ispettivo-fiscali espletate dall’Agenzia delle Entrate. La difesa, inoltre, proponeva un ulteriore doglianza, rilevando un’erronea applicazione dell’art. 5 d.lgs n. 74 del 2000 risultante dall’assenza, nella condotta criminosa perpetrata dal ricorrente, del dolo specifico, elemento indefettibile ai fini della configurazione del reato di “omessa dichiarazione”.

La Suprema Corte riteneva manifestamente infondati entrambi i motivi di ricorso proposti dall’imputato.

In ordine alla prima doglianza eccepita dalla difesa, la Corte ha ritenuto assolutamente legittime le conclusioni a cui era pervenuta la Corte d’Appello, soprattutto in ragione del principio di diritto, statuito dal giudice di legittimità, secondo il quale” Ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione dell’imposta sui redditi (art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario”. (Sent. cass. Pen. N. 37335/2014).

In ordine al secondo motivo di gravame, ossia assenza del dolo specifico, la Suprema Corte ha chiarito, che in materia di reati tributari la sussistenza del dolo specifico di evasione può essere desunta da diversi aspetti, quali “l’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta (sent. cass. Pen. N. 18936/2016).

Inoltre, chiarisce la Corte, “ai fini dell’esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sent. cass. Pen. n. 2614/2013).

In conclusione dunque, data la manifesta infondatezza dei motivi di gravame proposti dal ricorrente per le ragioni su esposte, la Suprema Corte concludeva per l’inammissibilità del ricorso presentato, con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali nonché di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Dott. Marco Conti