Riconciliazione coniugi: non basta come prova la mera coabitazione

“La mera coabitazione non è sufficiente a provare la riconciliazione tra coniugi separati essendo necessario il ripristino della comunione di vita e d’intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale”.

È quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 2360/2016, depositata in data 5 febbraio u.s., a conferma della posizione assunta dalla Corte d’Appello di Torino.

Quest’ultima aveva infatti asserito, respingendo l’impugnazione, come fosse la parte convenuta a dover provare i fatti attestanti l’avvenuta conciliazione, non essendo sufficiente, al fine di evitare la separazione, la mera coabitazione.

La parte soccombente ha quindi reagito proponendo ricorso per Cassazione e denunciando la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento a due questioni: la ripartizione dell’onere probatorio e la netta distinzione tra il concetto di coabitazione e quello della riconciliazione.

Quanto alla prima eccezione, la Corte, sia sulla scia della giurisprudenza antecedente che della disciplina legislativa vigente, ha affermato come non possa essere il giudice a quo a rilevare d’ufficio l’avvenuta riconciliazione, nella misura in cui, trattandosi di questioni attinenti a rapporti strettamente personali tra coniugi, siano questi ultimi, o meglio il coniuge istante, a dover adempiere a tale onere.

In riferimento invece alla seconda questione, e dunque la relazione tra la coabitazione e la riappacificazione post separazione, i Giudici di legittimità hanno ribadito, al pari della Corte Territoriale, come non sussista un nesso indissolubile tra i due concetti, aggiungendo inoltre, come i motivi della “convivenza”, non siano decisivi ai fini dell’emanazione della sentenza di divorzio, ma assumano invece rilevanza nel valutare l’atteggiamento assunto dai coniugi in costanza di separazione.