Modifiche alla Legge Pinto per il risarcimento da lungaggine processuale
Il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto “Decreto Sviluppo”) convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha apportato modifiche anche alla legge 89/2001, meglio nota come legge Pinto, in base alla quale è possibile presentare ricorso alla Corte d’Appello competente, al fine di chiedere un risarcimento a carico dello Stato italiano a causa della violazione del termine ragionevole di un processo. L’obiettivo dichiarato dal Consiglio dei ministri è quello non solo di razionalizzare il carico di lavoro che grava sulle corti di appello, ma anche di contenere gli oneri a carico della finanza pubblica, che nell’anno 2011 sono stati di oltre 200 milioni di euro. La prima modifica riguarda gli elementi che la Corte d’Appello dovrà valutare: e, infatti, nell’accertare la violazione il giudice dovrà considerare la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione. La seconda modifica, invece, consiste nella predeterminazione legislativa di alcuni parametri ai quali la Corte d’Appello dovrà attenersi nel decidere in ordine alle richieste di equo indennizzo. In base all’art. 2, comma 2 bis, della legge di riforma del 2012, la durata del processo non potrà essere ritenuta irragionevole se il processo di cognizione (civile o penale) non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Il comma 2 quater, inoltre, sottolinea che ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa. Quanto ai processi esecutivi e concorsuali, invece, essi dovranno concludersi, rispettivamente in tre e sei anni. Peraltro, in base al comma 2-ter si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni. Si è voluto poi formalizzare alcune cause di non indennizzabilità riconducibili alla condotta non diligente, dilatoria o abusiva della parte. Ad esempio, quanto al processo civile, è escluso l’indennizzo in favore della parte soccombente condannata per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. È escluso, tra l’altro, l’indennizzo a favore di quella parte che ha reso necessario l’intervento giurisdizionale in quanto ha rifiutato, senza giustificato motivo, una proposta formulata dalla controparte (art. 91 c.p.c.) o dal mediatore (art. 13 comma 1 primo periodo, d.lgs. n. 8/2010) sostanzialmente coincidente con la sentenza emessa dal giudice. Per quanto riguarda, infine, il procedimento per i futuri ricorsi ex legge Pinto, essi dovranno essere proposti entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il processo è diventa definitiva, al presidente della Corte di appello che provvede con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso al quale si applicano i primi due commi dell’art. 640 c.p.c. (e, cioè, la richiesta di integrazione del ricorso ove la domanda appaia insufficientemente giustificata). Peraltro, al ricorso andranno allegati l’atto di citazione, il ricorso, le comparse e le memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, i verbali di causa e i provvedimenti del giudice e il provvedimento che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabile. Si passa, quindi, dal procedimento in camera di consiglio ad un procedimento modellato, quanto alla fase iniziale almeno, sul procedimento di ingiunzione. La Corte di appello deciderà, infine, l’opposizione con decreto impugnabile per cassazione a seguito di un procedimento secondo le forme di cui all’art. 737 c.p.c. Merita, infine, di essere sottolineato il seguente snodo processuale: in base al nuovo comma 6 dell’art. 3 se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma dell’articolo 5-ter. Ecco allora che, ove la parte ricorrente soccombente, in tutto o in parte, procede a notificare il decreto e il ricorso in luogo di proporre immediata opposizione, quella scelta processuale rende improponibile l’opposizione e comporta acquiescenza al decreto da parte del ricorrente.
Sergio Scicchitano
Modifiche alla Legge Pinto per il risarcimento da lungaggine processuale
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