Ricorso in Cassazione: è inammissibile se viola principio di specificità e chiarezza

Con l’ordinanza Cass. Civ., Sez. II, 16 marzo 2023, n. 7600 (Presidente Lombardo – Relatore Varrone) la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della questione relativa alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione per violazione del principio di specificità e chiarezza dei motivi di impugnazione; a tale proposito si fa riferimento all’articolo 366, comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c. (ratione temporis applicabile alla fattispecie concreta oggetto di esame).

Si legge nella predetta ordinanza che l’articolo 366 c.p.c. prescrive <che l’atto sia redatto in forma sintetica, con una selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice, in un’ottica di economia processuale, che deve trovare riscontro nella formulazione, altrettanto concisa, dei motivi di ricorso>; requisiti che a giudizio della Corte di Cassazione sono da considerare non solo formali quanto anche di “forma – contenuto” dell’atto introduttivo e quindi requisiti ai quali ispirarsi poiché con essi il legislatore ha voluto indicare un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.

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Peraltro, l’ordinanza in parola si inserisce nel solco tracciato dalla stessa Corte (e da ultimo S.U. ordinanza  37522 del 2021) la quale ha avuto modo di precisare che: “Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.” .

Nell’esame del caso concreto, si legge nella richiamata ordinanza che <il Collegio, sulla base delle considerazioni che precedono, intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.>  (ex plurimis Sez. 5, Ord. n. 8009 del 2019); ed ancora si legge che : <Nella specie, l’inosservanza del requisito di sinteticità e chiarezza pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (Cost., art. 24), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (Cost., artt. 111, comma 2, e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui> (Sez. 5, Sent. n. 8425 del 2020).

Il ricorso è stato quindi sanzionato con la declaratoria di inammissibilità poiché si è riscontrato che lo stesso – formato da 65 pagine  – non aveva rispettato i canoni redazionali della chiarezza e sinteticità nel senso sopra precisato presentandosi anzi: <ponderoso, ipertrofico, con una mescolanza di elementi di fatto ed elementi di diritto che rendono incomprensibile le ragioni delle doglianze, risultando palese la violazione dei principi di sinteticità e chiarezza sopra richiamati>.

Una tale tecnica redazionale, a prescindere dalla lunghezza del ricorso, non è ammissibile in quanto non risulta essere compatibile con <i principi esposti che definiscono le modalità di introduzione del giudizio di legittimità sulla base del disposto dell’art. 366 c.p.c. come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte>.

E ancora si legge nella richiamata ordinanza che la violazione dei principi di sinteticità e chiarezza comporta la declaratoria della inammissibilità del ricorso anche alla luce di quanto affermato dalla stessa Corte nella sentenza n. 17698/14 ove è stato sancito: <che il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva espone il ricorrente per cassazione al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui alla Cost., art. 24, nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui alla Cost., art. 111, comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonché di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui>; ed ancora <detta violazione, infatti, rischia di pregiudicare la intelligibilità delle questioni sottoposte all’esame della Corte, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, quindi, in definitiva, ridondando nella violazione delle prescrizioni assistite dalla sanzione testuale di inammissibilità, di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.>.

In definitiva, ciò che la Corte ha stigmatizzato non è tanto il fatto se il ricorso presenti un numero ponderoso di pagine (la lunghezza di un ricorso di per sé non comporta la sanzione della inammissibilità) quanto piuttosto il fatto che il ricorso non sia intellegibile: ossia non faccia comprendere in maniera chiara, precisa e sintetica le ragioni poste a fondamento delle denunciate censure.

AVV. MARIA RAFFAELLA TALOTTA