IL DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE DEL CURATORE DEL FALLIMENTO

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 29313 del 22/12/2020, in tema di difesa tecnica del fallimento ha ribadito il principio secondo cui il curatore della procedura non può assumere il ruolo di difensore del fallimento tanto nelle liti attive che in quelle passive.

Nel caso di specie, era stata emessa sentenza di fallimento nei confronti di una società a responsabilità limitata, sulla base di un decreto ingiuntivo emesso a favore del fallimento di una spa che aveva richiesto l’ingiunzione ex art. 150 L.F., proprio nei confronti della s.r.l.

Vale la pena ricordare che, il citato art. 150 L.F., prevede che nei fallimenti con soci a responsabilità limitata, è possibile ingiungere con decreto ai soci a responsabilità limitata di eseguire i versamenti ancora dovuti, quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento.

La società a responsabilità limitata, avendo perso il reclamo ex art. 18 L.F. proposto avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, aveva proposto contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello, ricorso per cassazione deducendo il vizio di violazione di legge e, nello specifico, dell’art. 112 c.p.c., ed il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.4, poiché la Corte di Appello aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione formulata della mancata legittimazione attiva dell’unico creditore istante, cioè il fallimento della spa, poiché il curatore dello stesso aveva assunto la veste di avvocato della procedura in violazione della disposizione ex. Art. 31, comma 3 L.F.

Infatti, l’art. 31, comma 3 Legge Fallimentare espressamente dispone che

“Il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento”.

A ciò si deve aggiungere che l’art. 25, comma 1 n.6 L.F. stabilisce che il Giudice Delegato, esercitando funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura, può autorizzare per iscritto il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto. L’autorizzazione, che deve essere sempre data per atti determinati e per i giudizi deve essere rilasciata per ogni grado di essi, è da intendere come condizione di efficacia dell’attività processuale del curatore.

La Cassazione quindi, nel caso di specie, ha accolto il ricorso fondato sul motivo precedentemente esposto e ha ribadito il principio di “incompatibilità” del curatore fallimentare con la figura dell’assistente legale e tecnico nei giudizi che riguardano il fallimento.

Questo assunto, il quale trova esplicito fondamento nell’art. 31, comma 3 L.F., ha il fine di evitare il pericolo che il tornaconto professionale venga anteposto al vantaggio ricavabile dalla procedura collettiva, con la conseguente nullità degli atti compiuti in spregio di tale divieto.

Quindi, nella sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione ribadisce il principio di diritto in tema di difesa tecnica del fallimento, secondo cui il curatore della procedura, nelle liti attive e passive, non può assumere il ruolo di difensore né o anche quello di mero assistente, a pena di nullità di tutti gli atti posti in essere in tale veste.

Infine, i Giudici di legittimità hanno altresì evidenziato che è da escludersi, per manifesta infondatezza, l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 31 L.F. per eccesso di delega, con riferimento al potere del curatore di nominare autonomamente un difensore, in quanto la disposizione non esorbita dai limiti di essa, risultando coerente con i principi della legge delega e rispondendo al criterio di speditezza della procedura che rappresenta l’obiettivo preminente del legislatore delegante.

La Cassazione ha quindi già avuto modo di osservare che il riferito potere di nomina non consente una gestione in proprio da parte del curatore, in quanto, in caso contrario, si verrebbero a cumulare ed a sovrapporsi interessi che debbono restare distinti e separati.