Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 c.p.

ottobre 26th, 2019|Alessia Bucci, Articoli, Diritto penale|

La Corte di Cassazione Penale, Sez. V, con sentenza n. 32859/19, è intervenuta, nuovamente, sul reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 c.p., ribadendo il seguente principio di diritto: “la presentazione di dichiarazione sostitutiva di regolarità contributiva (c.d. DURC) con contenuto ideologicamente falso, in forza dell’obbligo di dichiarare il vero sancito dall’art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000, integra il reato di cui all’art. 483 c.p.”.

La pronuncia de quo trae origine da un ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Asti avverso una sentenza del Tribunale di Asti che aveva assolto l’imputato dal reato p. e p. dall’art. 483 c.p. perché il fatto non costituisce reato.

Nello specifico, il Procuratore deduceva violazione della legge penale in riferimento all’art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000, per avere il Tribunale escluso la rilevanza penale del fatto pur in presenza di un’autocertificazione, resa in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ideologicamente falsa.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Torino per il relativo giudizio.

Ora, alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ripreso e confermato da numerose pronunce, il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico è configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero.

È stato sottolineato, infatti, che sulla base sia della ratio che del tenore letterale della legge, l’atto disciplinato dalle norme di cui agli artt. 46 e 47 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, sia per sua natura destinato a provare la verità delle circostanze in esso affermate, che concernono fatti, stati e qualità personali.

Secondo l’art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000, le dichiarazioni sostitutive ex artt. 46 e 47 sono considerate come rese a pubblico ufficiale, essendo la qualità del destinatario del tutto idonea a sancirne la destinazione ad essere trasfuse in atto pubblico, mentre la necessità dell’individuazione di una specifica norma giuridica che attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero, è puntualmente soddisfatta dalle norme di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000.

Alla luce di quanto affermato, appare evidente l’errore in cui è incorso il Tribunale di Asti.

La falsa dichiarazione per cui è causa, invero, sostituisce il documento unico di regolarità contributiva (c.d. DURC) attraverso una dichiarazione resa alla P.A. ai sensi dell’art. 4, co. 14 bis, del D.L. n. 70 del 2001, avente natura di autocertificazione ex art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000, in merito ad una qualità del dichiarante – regolarità INPS e INAIL – rilevante anche al fine di prevenzione e controllo dell’evasione.

Con la conseguenza che solo il possesso della predetta autocertificazione legittima il dichiarante ad essere parte di una serie di rapporti pubblicistici.

Ed è, pertanto, in virtù di siffatto parametro normativo che l’imputato ha attestato l’adempimento di obblighi contributivi previsti dalla legge rimasti inevasi, con ciò falsamente rappresentando l’esistenza di una qualità – la regolarità contributiva – del dichiarante invece insussistente.

Alessia Bucci