Concessioni demaniali in essere, no alla proroga automatica

La legge del 15 dicembre 2011 n. 217 ha, come noto, abrogato il DL n. 440/1993 art. 1, c.2, nella parte in cui stabiliva che “Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per alti sei anni e così successivamente ad ogni scadenza […]”.

Tale abrogazione si era necessaria per operare un vero e proprio salvataggio dell’Italia dalla procedura di infrazione n. 2008/4909, avviata ai sensi dell’art. 258 TFUE, per contrasto della normativa italiana con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e della concorrenza.

Ad oggi, le concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico -ricreativa, sono state prorogate da l D.L. 194/2009 sino al 31.12.2020, il quale ha posto in essere una disciplina transitoria in attesa della revisione della legislazione in materia ciò al fine di porre finalmente in essere una disciplina organica delle concessioni di beni demaniali marittimi, rispettosa dei principi europei.

A fronte di una normativa che, infatti, ancora non sembra rispondere in modo precipuo allo standard richiesto dall’Unione Europea, la Corte di Giustizia UE ha , dietro rinvio pregiudiziale del Tar Lombardia e del Tar Sardegna, anche successivamente al D.L. 194/2009  ha rilevato l’incompatibilità di tale disciplina transitoria con l’art. 12 della direttiva 006/123/CF del Parlamento Europeo e del Consiglio (c.d. Bolkestein), ritenendo necessario garantire una gara ad evidenza pubblica nelle operazioni di rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali.

Il diritto europeo, in particolare le disposizioni in materia di libertà di prestazione dei servizi e di stabilimento, richiede che la scelta del concessionario avvenga tramite procedure pubbliche di gara, al fine di consentire una valutazione trasparente e imparziale degli operatori economici europei.

Tale ennesima “bocciatura”, ha determinato un nuovo intervenuto del legislatore italiano, il quale con il d.l. 24.06.2016 n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali ed il territorio) ha previsto la conservazione di validità per i rapporti già instaurati e pendenti ex d.l. 194/2009,e ciò al fine di garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto ed assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità.

Una vera e propria norma di salvataggio per le concessioni nuove o comunque sorte dopo la l. n. 88/2001, volta a consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento nelle more del riordino della materia, ma che ha suscitato un vivo dibattito in dottrina e su cui ha avuto recentemente modo di pronunciarsi la Suprema Corte di Cassazione – sez. III pen. – con la sentenza n. 25993 del 12.06.2019.

La vicenda processuale, portata all’esame della Corte dietro ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova, trae origine dal rigetto del Tribunale Genovese dell’appello proposto dal P.M. avverso l’ordinanza di diniego di sequestro preventivo impeditivo su un’area demaniale nella disponibilità dell’indagato in relazione all’ art. 1161 cod. nav.

Nel provvedimento di rigetto, motivato sulla base della ritenuta insussistenza dell’elemento psicologico del reato e dell’elemento materiale della condotta, il tribunale di Genova evidenziava come “non possa disapplicarsi la normativa nazionale, che aveva disposto nel tempo rinnovi automatici delle concessioni demaniali, per contrasto con la Direttiva Bolkestein, vertendosi in ipotesi di applicazione in malam partem di tale normativa”.

Nel richiedere l’annullamento dell’ordinanza impugnata, il PM sottolineava al contrario che non possa prospettarsi alcuna una questione di applicazione in malam partem della normativa comunitaria nel caso di specie, e quindi di violazione del principio di legalità o di tassatività, rispetto a quanto previsto sia dalla direttiva Bolkestein sia dall’art. 49 TFUE sulla scorta della copiosa giurisprudenza europea (Cfr. CGUE 14.06.2016 cause C-458/14 e C-67/15).

Nell’accogliere il ricorso del magistrato requirente, la Corte di Cassazione, dopo aver ripercorso il cammino normativo italiano ed europeo sul tema delle proroghe delle concessioni marittime, sottolinea come ormai la giurisprudenza sia granitica, ai fini dell’integrazione del reato di occupazione del territorio marittimo, nel disapplicare le disposizioni normative che prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza.

La legge del 2016, infatti, nel determinare la conservazione dei rapporti già instaurati e pendenti in base al D. L. 194/2009  (il quale riguarda solo le concessioni nuove in quanto sorte dopo la l. 88/2001 o comunque sorte dopo la l. 88/2001 ma ancora valide a prescindere dalla proroga automatica di cui al D.L. 400/1993) sino al 31.12.2020 richiede comunque una espressa istanza da parte del concessionario in tal senso ed un provvedimento espresso da parte del Comune, previa necessaria verifica sia della sussistenza di un titolo valido ma anche della costanza dei requisiti in capo al concessionario.

La normativa vigente, quindi, determina l’illegittimità di eventuali proroghe tacite, con la conseguenza che non può porsi una questione di applicazione in malam partem della normativa comunitaria -nella specie della direttiva Bolkestein – non vertendosi in ipotesi di introduzione di una fattispecie criminosa non prevista o di violazione del principio di tassatività, essendo la norma penale incriminatrice completa nei suoi aspetti essenziali.

Nella specie, essendo la concessione rilasciata all’indagato nel 1998 la stessa risulta scaduta in data 31.12.2009 poiché prive di rilievo sono eventuali proroghe tacite successivamente intervenute.

Dott.ssa Caterina Marino