Responsabilità professionale dell’avvocato, il concorso di colpa dell’assistito

luglio 28th, 2019|Articoli, Focus, Simona Arcieri|

Il contratto tra avvocato e cliente rientra nella categoria dei contratti d’opera professionali [1], e nello specifico è regolato dagli artt. 2230 [2] e ss. del codice civile e dalle norme del codice di deontologia professionale.

La responsabilità professionale

La responsabilità professionale sorge in capo al legale in ragione proprio dello svolgimento del suo mandato professionale. L’avvocato, infatti, tramite la stipulazione del contratto professionale di prestazione d’opera intellettuale, si impegna, nei confronti del proprio cliente, a porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie per consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito (cd. obbligazione di mezzi) ma non anche a conseguirne il risultato (cd. obbligazione di risultato).

Ciò premesso, al fine di determinare la responsabilità dell’avvocato, sotto il profilo civilistico, si tiene conto del principio dettato dall’art. 1176, comma 2 c.c. [3] che prevede: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. Dunque l’avvocato, nell’esercizio dell’attività professionale,  deve impiegare la diligenza media – concetto certamente più ampio di quello di cui al comma 1 art. 1176 c.c. (cd. diligenza del buon padre di famiglia) –  in ragione proprio della natura e della qualità della prestazione.

L’obbligo d’informazione

Sul punto preme evidenziare che, secondo giurisprudenza consolidata, l’obbligo di informazione [4] del professionista rientra nell’alveo della diligenza di cui all’art. 1176, comma 2 c.c.  e nello specifico si identifica nei “doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, in adempimento dei quali l’avvocato è tenuto a rappresentare quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, nonché a sconsigliarlo dall’intraprendere un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole” (cfr. Cass. 12/10/2009 n. 21589 e 18/11/2009 n. 24344.) Dunque qualora il professionista non abbia informato il cliente dei rischi connessi all’azione giudiziaria e, nel valutare le chances di esito positivo dell’azione, abbia omesso di rilevare l’intervenuta prescrizione del diritto, incorre in responsabilità professionale ai sensi dell’art. 1176 c.c. (cfr. Cass. Sez. II, 14/11/2022, n. 16023).

Il legislatore ha, poi, previsto all’art. 2236 c.c. [5] un’ipotesi di responsabilità attenuata e limitata ai soli casi di dolo o colpa grave, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. Infatti l’impegno intellettuale richiesto, in queste ipotesi, si considera superiore rispetto a quello professionale medio, indi per cui il professionista, laddove la questione lo richieda perché di particolare difficoltà tecnica, dovrà adottare un impegno ancor più elevato.

Dunque, alla luce di tali principi, è bene precisare che l’instaurazione di un eventuale giudizio di responsabilità professionale da parte del cliente-danneggiato impone a quest’ultimo di provare: i) l’inadempimento del professionista [6]; ii) il danno; iii) il nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno.

La responsabilità esclusiva

Sul punto la Suprema Corte ha evidenziato che la responsabilità dell’avvocato nei confronti del cliente si considera esistente solo dove quest’ultimo provi, in termini probabilistici, che, senza la negligenza e/o l’imperizia del legale, il risultato sarebbe stato conseguito (Cassazione civile , sez. III, sentenza 10.12.2012 n. 22376: “ove anche risulti provato l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito”). [7]

Dunque, affinché si possa configurare una responsabilità legale nei confronti del cliente, l’evento dannoso che ha causato il pregiudizio deve essere riconducibile esclusivamente in capo all’avvocato.

Il concorso di colpa

Al di fuori dell’ipotesi di responsabilità esclusiva del professionista, è necessario a questo punto chiedersi se e quando  è invece configurabile un concorso di colpa tra cliente e avvocato. Sul punto recentemente la Corte di Cassazione [8] si è così espressa: “È configurabile un concorso di colpa tra cliente e avvocato nell’ipotesi in cui, a fronte della negligenza del legale, il cliente non abbia provveduto a revocargli il mandato. Se cioè il cliente non cambia avvocato in tempo, egli è corresponsabile del danno che il legale provoca.

Il principio di diritto trae origine dalla mancata trascrizione di un atto di citazione con cui l’avvocato chiedeva, per i propri clienti, una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c. [9] , nei confronti di una società, la quale – due anni dopo la definizione del giudizio – veniva dichiarata fallita con conseguente inopponibilità della sentenza al fallimento proprio a causa della mancata trascrizione dell’atto di citazione.

I clienti per tale motivo citarono in giudizio l’avvocato chiedendo il risarcimento del danno patito in conseguenza dei fatti sopra indicati e della negligenza del professionista.

Quest’ultimo si costituì ed eccepì che la responsabilità  fosse imputabile agli stessi clienti per non avere trascritto la sentenza che accolse la loro domanda. Se, infatti, avessero trascritto la sentenza in tempo, quest’ultima sarebbe stata certamente opponibile alla curatela, visto che il suo fallimento fu dichiarato due anni dopo la definizione del giudizio.

Accolta la domanda in primo grado, la Corte d’Appello di Milano rigettò il ricorso proposto dal professionista. In seguito la Cassazione cassò con rinvio la sentenza d’appello con pronuncia del 11.07.2012, per contraddittorietà della motivazione. Dunque, riassunto il giudizio, la Corte d’Appello territoriale, con  sentenza 25.6.2015 n. 2745, attribuì agli attori un concorso di colpa [10] del 50% nella produzione del danno, sul presupposto che la condotta dei clienti-danneggiati avesse avuto ”eguale efficacia causale”, rispetto alla condotta omissiva del professionista.

Impugnata nuovamente in Cassazione – in via principale dal legale e in via incidentale dagli ex clienti – la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, affermando, relativamente a quanto dedotto dal professionista, [11] che: “Nel caso di specie, la negligenza dei sig.ri  X e X nel trascrivere la sentenza ad essi favorevole fu con evidenza una concausa di danno, non un aggravamento di esso: sia perché la condotta negligente precedette il danno; sia perché senza di essa quest’ultimo non si sarebbe verificato. Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha proceduto a graduare percentualmente la responsabilità del danneggiante e dei danneggiati, trovandosi al cospetto di un concorso di cause di danno, e non dell’aggravamento d’un danno”.

Relativamente alle doglianze dei clienti, la Suprema Corte ha ritenuto infondata la violazione dell’art. 360, comma 5, c.p.c., e dunque l’omesso esame da parte della Corte d’Appello di un fatto decisivo e controverso, ossia il fatto che all’avvocato era stato affidato anche il compito di trascrivere la sentenza, da cui, per tale motivo, ne derivava la sua responsabilità.

La Cassazione ha infatti ritenuto infondato il motivo sulla base di tre ragioni: i) gli attori avevano tardivamente dedotto in giudizio tale profilo di colpa del professionista e dunque correttamente la  Corte d’Appello aveva omesso di esaminare la questione inammissibile perché nuova; ii) la Corte d’appello aveva ritenuto “inescusabile” l’attesa, da parte dei clienti dell’avvocato, di due anni prima di trascrivere la sentenza, infatti, secondo la Corte “quand’anche fosse stato davvero conferito un mandato all’avvocato in tal senso, resterebbe il fatto che qualunque persona diligente, ai sensi dell’art. 1176, comma primo, c.c., non avrebbe atteso due anni prima di decidersi a rivolgersi ad un altro professionista”; iii) gli stessi attori avevano ammesso di aver revocato il mandato all’avvocato, con la conseguenza logica che quest’ultimo era stato sollevato dall’obbligo di trascrivere la sentenza.

Dalla pronuncia de quo si deduce quindi che anche nell’ipotesi in cui sia stata comunque accertata la negligenza dell’avvocato nello svolgimento del suo mandato, ai sensi dell’art. 1176 comma 2 c.c., non è esclusa la possibilità che si possa riscontrare un concorso di colpa con il cliente ex art. 1227 c.c., se quest’ultimo si sia reso corresponsabile del danno provocato dal legale.

Dott.ssa Simona Arcieri

[1] Art. 2222 c.c.: “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio o senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV.”

[2] Art. 2230 c.c.: “Il contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente”. Elementi tipici della prestazione d’opera sono la professionalità e la personalità, in particolare dall’art. 2232c.c. – “il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto”– si desume il rapporto di fiducia presupposto, trattandosi infatti di rapporto basato sull’intuitus personae.

[3] In deroga al criterio generale previsto all’art. 1176, comma 1 c.c.: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia”.

[4] In merito si cita la pronuncia del Consiglio Nazionale Forense 24/10/85  “l’avvocato che ometta di fornire notizie ai clienti circa l’andamento di cause a lui affidate, riceva acconti e solo dopo ripetuti solleciti dia rassicurazioni circa l’andamento dei procedimenti viene meno, in forma grave, alle fondamentali regole di diligenza e correttezza alle quali va improntata l’attività professionale nei rapporti con i clienti e merita la sospensione dall’esercizio della professione per la durata di sei mesi“.

[5] Art. 2236 c.c.: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.

[6] Art. 1218. Responsabilità del debitore “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

[7] Cfr. Cass. n. 22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n. 21894/04, Cass. n. 6967/06, Cass. n. 9917/2010.

[8] Cassazione civile sez. III, 07/12/2017, n.29325.

[9] Art. 2932 c.c.: “Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso”. Nel caso di specie si trattava di un contratto preliminare di compravendita immobiliare.

[10] Art 1227c.c.: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.

[11] L’avvocato aveva eccepito che gli attori avessero aggravato la produzione del danno ai sensi dell’art. 1227, 2 comma, c.c.: “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.