Il focus: tassa sui rifiuti, l’onere della prova

  1. PREMESSA

La TARI è la somma di denaro che viene corrisposta al Comune in cambio del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e trova disciplina nella l. 27.12.2013, n. 147.

Presupposto per l’applicazione del tributo è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani (art. 641): il solo possesso o la detenzione di un immobile nell’area in cui il servizio è svolto fa sorgere l’obbligazione in favore dell’erario.

L’obbligo fiscale non è assoluto. Sono previste infatti delle esenzioni in ipotesi tassative come nel caso di detenzione o possesso di aree o immobili inoperative (improduttive di rifiuti) e nel caso di aree comuni condominiali previste dall’art. 1117 c.c.[1] che non siano detenute o occupate in via esclusiva (art. 641 secondo periodo). Non sono tenuti al pagamento neanche i produttori dei c.d. rifiuti speciali (rifiuti nocivi o tossici non soggetti al servizio di smaltimento ordinario) i quali devono provvedere allo smaltimento a proprie spese comprovandone l’avvenuto pagamento in conformità alla normativa vigente (art. 654).

La natura sinallagmatica del tributo trova espressione nell’art. 654 il quale dispone che “in ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. La causa del pagamento trova la sua ragion d’essere nella fruizione di un servizio secondo lo schema tipico del principio del beneficio[2]. Tale corrispettività trova però attenuazione nella previsione dell’art. 656 ove si legge che la Tari sarà dovuta anche in caso di mancato svolgimento del servizio, effettuazione in violazione di legge o in caso di interruzione.

La tassa viene corrisposta su base annua e le tariffe vengono calcolate in ragione del c.d. “metodo normalizzato” di cui al D.P.R. n. 158 del 1999[3] prendendo come parametri di riferimento il costo dello smaltimento, la superficie e la destinazione degli immobili su cui insiste il servizio secondo un criterio di produttività potenziale di rifiuti. Se si tratta di immobili ad uso abitativo viene preso in considerazione il numero di componenti del nucleo familiare[4].

  1. L’ ONERE DELLA PROVA

Abbiamo visto che la legge prevede dei casi in cui il versamento del tributo non è dovuto in quanto viene meno il sinallagma con la fruizione del servizio.

Può accadere però che l’amministrazione provveda comunque alla notifica della cartella di pagamento relativa alla Tari ritenuta non versata.

In tal caso si pone quindi il problema di capire come la legge distribuisce l’onere probatorio tra le parti del rapporto contributivo.

Presupposto per l’applicazione della tassa è la detenzione o possesso a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area scoperta senza che vi sia alcun controllo da parte dell’amministrazione sull’effettiva fruizione del servizio di smaltimento: opera una presunzione ex lege di produttività di rifiuti.

A tal riguardo è costante in giurisprudenza l’indirizzo secondo il quale in materia di riduzione ovvero esenzione dal pagamento della Tari, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale[5].

Un simile orientamento è espressione del principio generale secondo cui chi eccepisce l’inefficacia dei fatti dedotti in giudizio ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda[6].

Sarà pertanto onere del contribuente dimostrare, secondo parametri oggettivi, l’esistenza di una causa di esclusione.

Nel caso di immobili od aree che si ritengono improduttive di rifiuti “la situazione che legittima l’esonero si verifica allorquando l’impossibilità di produrre rifiuti dipende dalla natura stessa dell’area o del locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal fatto che l’area ed il locale siano stabilmente, e cioè in modo permanentemente e non modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente produttive di rifiuti[7].

In relazione agli immobili ad uso abitativo l’impossibilità di produrre rifiuti potrebbe essere fornita dimostrando l’inesistenza delle condizioni di abitabilità dello stesso come ad esempio la mancanza di allacciamenti elettrici, idrici o fognari.

Nel caso invece di produzione di rifiuti speciali, la prova dello smaltimento da parte di soggetti terzi all’amministrazione comunale va posto a carico dell’interessato sul quale ricade l’obbligo di dimostrare la quantità di rifiuti avviati al recupero da parte di terzi al fine di beneficare di una riduzione tariffaria[8]. La prova potrà essere data tramite formulario di identificazione dei rifiuti[9] o altra idonea attestazione rilasciata da operatori autorizzati.

Simili conclusioni discendono direttamente dal dettato normativo che prevede da un lato l’obbligo per i contribuenti di denunciare presso il comune le aree soggette ad imposta e dall’altro l’obbligo di comunicare ogni variazione che possa influire sull’applicazione del tributo. La variazione costituisce eccezione rispetto alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale e sarà onere del contribuente fornirne la prova[10].

Da ultimo occorre rilevare un orientamento dei giudici di merito volto a ritenere sussistente in capo all’amministrazione l’onere di dimostrare l’idoneità dell’area a produrre rifiuti alla luce del diritto comunitario ed in particolare  del principio espresso nella Direttiva 2004/35/CE che al considerano 18 dispone che “secondo il principio <<chi inquina paga>>, l’operatore che provoca un danno ambientale o una minaccia imminente di tale danno dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione”.

Così la Comm. trib. prov.le Imperia, 11/01/2006, n.106 pronunciava: “la tassa raccolta rifiuti solidi urbani soggiacendo al campo di applicazione dei trattati comunitari, deve osservare il principio fondamentale di diritto comunitario finanziario dell’ambiente che commisura la tassa alla capacità di produrre rifiuti; la tassa può pertanto trovare applicazione solamente ove sia dimostrata l’attitudine alla produzione di rifiuti”.

Dello stesso avviso la Commissione tributaria regionale dell’ Emilia Romagna ,10 aprile 2002 che in materia di locali utilizzati come cantine afferma: “I locali destinati ad essere utilizzati come solai e cantine, essendo per loro natura incapaci di produrre rifiuti a cagione del mancato collegamento con la vita del contribuente non sono soggetti alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi, salvo specifiche e diverse situazioni che l’ente impositore ha l’onere di dimostrare”.

Un’impostazione di questo tipo, seppur pregevole, non sembra però essere condivisa dalla giurisprudenza maggioritaria che continua a prevedere l’onere probatorio in capo al contribuente.

Daniele Moccia

[1] “Sono oggetto di proprietà  comune dei proprietari delle singole unità  immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:

1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;

2) le aree destinate a parcheggio nonché’ i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;

3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà  individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche”.

[2] P. Boria, Diritto Tributario, Torino 2016, p. 235.

[3] Il metodo normalizzato può essere rappresentato sinteticamente nelle seguenti fasi:  

– individuazione e classificazione dei costi del servizio; 

– suddivisione dei costi tra fissi e variabili; 
– ripartizione dei costi fissi e variabili in quote imputabili alle utenze domestiche e alle utenze non domestiche;

– calcolo delle voci tariffarie, fisse e variabili, da attribuire alle singole categorie di utenza, in base alle formule e ai coefficienti indicati dal metodo.

[4] Si tratta di un metodo di calcolo approssimativo che non tiene conto della reale quantità di rifiuti urbani prodotti. Per tal motivo è stato affermato che un simile metodo di calcola sarebbe in contrasto con il principio chi inquina paga di matrice comunitaria. La cassazione ha però risolto la questione nel senso della compatibilità della disciplina italiana con la normativa europea (cfr. Cass., 14/07/2017, n. 17498).

[5] Cassazione civile, 15/05/2019, n.12979; Cassazione civile, 22/09/2017, n.22130; Comm. trib. reg. L’Aquila, (Abruzzo) sez. IV, 13/06/2018, n.620. Comm. trib. prov.le Benevento sez. II, 15/01/2019, n.14. L’orientamento segue il solco tracciato dai giudici di legittimità con riferimento alla Tarsu.; già in Cass., sez. civ. V-trib, 9 marzo 2005, n. 5093 si leggeva “poiché presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani, secondo l’art. 62 d.lg. 15 novembre 1993, n. 507, è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti […] l’onere della prova circa l’esistenza e la delimitazione delle superfici per le quali il tributo non è dovuto grava su chi ritiene di avere diritto all’esenzione e non sull’amministrazione del Comune”.

[6] Art. 2697 c.c.

[7] Cassazione civile sez. trib., 22/09/2017, n.22130. Nel caso di specie si è ritenuto che un magazzino per il deposito delle merci concorrendo all’esercizio dell’attività di impresa vada considerato al pari dei locali di vendita e quindi suscettibile di produrre rifiuti.

[8] Comm. trib. reg. L’Aquila, (Abruzzo) sez. IV, 13/06/2018, n.620, che riporta il principio espresso in tema Tarsu dalla Suprema Corte, 5/06/2013, n. 14156, secondo la quale “le operazioni di avviamento al recupero dei rifiuti speciali (nella specie imballaggi terziari e secondari per i quali non sia stata avviata la raccolta differenziata) non comportano la riduzione della superficie tassabile, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, ma il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, la cui dimostrazione è onere che incombe sul contribuente”.

[9] Il formulario di identificazione dei rifiuti (cosiddetto FIR) è un documento di accompagnamento del trasporto dei rifiuti previsto dal Decreto legislativo del 15/11/1993 n. 507 che contiene tutte le informazioni relative alla tipologia del rifiuto, al produttore, al trasportatore ed al destinatario.

[10] Cass., 5/06/2013, n. 14156; Comm. trib. reg. L’Aquila, (Abruzzo) sez. IV, 13/06/2018, n.620.