Nuove prove e nuovi documenti in appello: rito ordinario e rito sommario a confronto

In relazione al regime riguardante l’ammissibilità di nuove prove nel giudizio di appello civile si evidenzia una fondamentale differenza tra la disciplina prevista riguardo al c.d. “giudizio ordinario di cognizione” e la diversa disciplina prevista invece per il c.d. “giudizio sommario di cognizione”.

Il fondamentale discrimen tra le due diverse normative è rappresentato dalla maggiore elasticità che riguardo all’ammissibilità di nuove prove e nuove documenti ha sempre caratterizzato e continua ancora oggi a caratterizzare, nonostante la novella introdotta per effetto del D.L. n. 83 del 22 giugno 2012 (convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134), il procedimento di appello nel giudizio c.d. more sommario.

Al fine di comprendere le differenze tra le due normative occorre partire dalla disamina dei due articoli di riferimento contemplati dal nostro codice di procedura civile, ovvero: l’art. 345 c.p.c. (per quanto concerne il giudizio ordinario di cognizione) e l’art. 702 quater c.p.c. (per quanto riguarda il giudizio sommario di cognizione).

Orbene, la formulazione dei due articoli sopra menzionati nel testo vigente in epoca anteriore alla novella del 2012, si evidenzia quanto segue:

  • L’art. 345 c.p.c. disponeva che in relazione al giudizio ordinario di cognizione nel procedimento di appello “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio
  • L’art. 702 quater c.p.c. disponeva invece in relazione al giudizio sommario di cognizione che in appello “Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fin della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile”.

Era pertanto evidente la maggiore facilità con la quale, nel caso del giudizio sommario di cognizione, i nuovi mezzi istruttori e i nuovi documenti potevano fare ingresso nel secondo grado del giudizio.

La differenza tra le due norme consisteva nell’utilizzo dell’espressione “indispensabile ai fini della decisione” prevista con riferimento al giudizio ordinario di cognizione e di quella “rilevante ai fini della decisione” prevista, invece, con riferimento al rito more sommario.

Appare evidente, infatti, come in quest’ultimo caso l’utilizzo dell’espressione “rilevante” rendesse maggiormente possibile l’ingresso in appello di nuove deduzioni istruttorie e di nuove produzioni documentali, essendo a tal fine richiesta una delibazione del Collegio in ordine alla sola “rilevanza” della nuova prova e non essendo, invece, necessario quel giudizio di ”indispensabilità” della prova che era previsto per l’appello nel giudizio ordinario di cognizione.

Nel rito sommario di cognizione il giudizio di “rilevanza” ai fini della decisione che il Giudice di Appello era chiamato a svolgere (secondo il vecchio testo dell’art. 702 quater) per l’eventuale ammissione della nuova prova o del nuovo documento era, peraltro, coerente con quel medesimo esame di “rilevanza” delle prove che anche il Giudice di primo grado doveva e deve ancora oggi svolgere (a norma dell’art. 702 ter c.p.c.) quando ritiene di procedere “agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto” .

Invece, riguardo al giudizio ordinario di cognizione, erano previsti dall’art. 345 c.p.c. limiti ben maggiori per l’articolazione di nuove prove o la produzione di nuovi documenti nel giudizio di appello, essendo richiesta una delibazione addirittura di “indispensabilità” del nuovo mezzo istruttorio.

Successivamente è intervenuto, come innanzi precisato, il D.L. n. 83 del 22 giugno 2012 (convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134), il cui art. 54 ha inteso restringere per entrambi i tipi di giudizio (giudizio ordinario di cognizione e giudizio sommario di cognizione) i limiti per l’ingresso di nuove prove e di nuovi documenti nel grado di appello, modificando al riguardo il testo di entrambi gli articoli sopra evidenziati.

Per effetto della novella in discorso i nuovi testi degli articoli in commento sono oggi i seguenti:

  • l’art. 345 c.p.c. dispone che, in relazione al giudizio ordinario di cognizione, nel procedimento di appello “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio”.

E’ stato quindi eliso l’inciso che consentiva l’ingresso dei nuovi mezzi istruttori ritenuti dal Collegio “indispensabili ai fini della decisione della causa”.

  • L’art. 702 quater c.p.c. dispone che, in relazione al giudizio sommario di cognizione, in appello “Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile”.

E’ stato quindi sostituito il giudizio di “rilevanza” della nuova prova o del nuovo documento ai fini della decisione (previsto dal vecchio testo dell’art. 702 quater c.p.c.) con il diverso e maggiormente limitativo giudizio di “indispensabilità” del nuovo mezzo istruttorio ai fini della decisione.

Tuttavia appare evidente che, nonostante le restrizioni introdotte con la novella in esame, rimane pur sempre forte la diversità di disciplina.

Ancora oggi infatti, se da un lato riguardo al giudizio ordinario di cognizione il nuovo testo dell’art. 345 c.p.c. limita l’articolazione di nuove prove e la produzione di nuovi documenti in appello alla sola ed esclusiva ipotesi in cui la parte dimostri di “non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile”, per il diverso giudizio a cognizione sommaria (disciplinato dagli art. 702 bis e segg. c.p.c.) rimane salva la possibilità di introdurre nuovi mezzi di prova o nuovi documenti nel giudizio di appello indipendentemente dalla possibilità per la parte di articolari o produrli in primo grado, sia pur a condizione della loro “indispensabilità” ai fini della decisione.

Risulta infine evidente che il nuovo testo dell’art. 702 quater c.p.c., nella parte in cui dispone che in appello sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quandoil collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile”, ricalca quasi pedissequamente il vecchio testo dell’art. 345 c.p.c. relativo al giudizio ordinario di cognizione.

Pertanto, nonostante le restrizioni introdotte dalla riforma, può definirsi ancora oggi viva ed attuale l’intenzione del legislatore di riservare nel giudizio di appello avente ad oggetto provvedimenti resi a definizione del giudizio sommario di cognizione, qualche possibilità in più all’ingresso di nuove prove e nuovi documenti.

In fondo non si deve dimenticare che la dottrina maggioritaria ha sempre ritenuto che, proprio nel giudizio more summario, l’appello rappresenti uno strumento idoneo a restituire alle parti del giudizio quelle facoltà difensive che sono state compresse nel giudizio di primo grado (in cui ancora oggi a norma dell’art. 702 ter c.p.c. la possibilità per il Tribunale di procedere ad atti di istruzione probatoria è condizionata da un preventivo giudizio di rilevanza in relazione all’oggetto del giudizio).

Tale orientamento dottrinale, già esistente in epoca anteriore alla riforma del 2012, è rimasto immutato in quanto ancora oggi si ritiene che nel giudizio sommario di cognizione “la sommarietà delle forme che caratterizza la prima fase del giudizio esige -per il rispetto del principio costituzionale del giusto processo secondo la legge – che nella seconda fase siano ammissibili ed esercitabili tutte quelle facoltà che appartengono alla pienezza del diritto di difesa erano rimaste in qualche modo compresse nella prima fase” (cfr. in tal senso Crisanto Mandrioli e Antonio Caratta “Diritto Processuale Civile”, Vol. IV, pag. 409, GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO, ventiseiesima edizione, 2017).

Peraltro il medesimo principio era stato confermato anche dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 11465 del 14 maggio 2013 secondo cui “In tema di procedimento sommario di cognizione, l’art. 702 quater c.p.c. disciplina un mezzo di impugnazione che ha natura di appello (e non di reclamo cautelare), la cui mancata proposizione comporta il passaggio in giudicato dell’ordinanza emessa ex art. 702 bis c.p.c., prefigurando un procedimento con pienezza sia di cognizione (come in primo grado) che di istruttoria (a differenza del primo grado, ove è semplificata), analogo a quello disciplinato dall’art. 345, 2º comma, c.p.c.”.

Alla stregua dei menzionati, e ancora attuali, orientamenti dottrinali e giurisprudenziali relativi alla natura del giudizio di appello nel procedimento more summario, è quindi agevole comprendere le ragioni per le quali ancora oggi in tale tipo di appello è prevista qualche possibilità in più all’ingresso di nuove prove e di nuovi documenti rispetto alla diversa ipotesi dell’appello relativo al giudizio ordinario di cognizione.

Avv. Claudio Grimaldi