
Ammissione allo stato passivo: la prededucibilità del compenso per la domanda concordataria
Con sentenza n. 30114 del 2018 la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato la questione della prededucibilità o meno del credito maturato dal professionista nell’assistenza svolta per la domanda concordataria.
La vicenda prende avvio dal provvedimento del Giudice delegato che ammetteva per intero al passivo della procedura il credito vantato dal professionista, in relazione all’attività di assistenza e consulenza svolta per la redazione e presentazione di una domanda di concordato preventivo escludendone però la prededuzione richiesta, riconoscendone il solo privilegio di cui all’art. 2751-bis n. 2 cod. civ.
Il professionista proponeva opposizione.
Il Tribunale di Firenze rigettava il ricorso in quanto l’opponente non aveva provato il rapporto di funzionalità fra la presentazione della domanda di concordato e l’interesse della massa dei creditori.
Pertanto il professionista proponeva ricorso per cassazione lamentando che l’art. 111 Legge Fall. non richiedeva la prova che le prestazioni professionali fossero stati utili per la massa dei creditori.
Secondo gli Ermellini i crediti sorti a seguito delle prestazioni rese in favore dell’imprenditore per la redazione della domanda di concordato preventivo e per la relativa assistenza rientrano quindi fra quelli da soddisfarsi in prededuzione ai sensi dell’art. 111 comma 2 L. fall. poiché questa norma individua un precetto di carattere generale, privo di restrizioni, che, per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, introduce un’eccezione al principio della par conditio creditorum, estendendo in caso di fallimento la preducibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali (Cass. n. 1765/2015).
Ne discende che la verifica del nesso di funzionalità/strumentalità deve essere compiuta controllando se l’attività professionale prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, non potendo l’evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, di per sé sola e pena la frustrazione dell’obiettivo della norma, escludere il ricorso all’istituto.
Nessuna verifica deve invece essere compiuta, ove alla procedura minore consegua il fallimento, in ordine al conseguimento di una utilità in concreto per la massa dei creditori, concetto che non può essere confuso o sovrapposto a quello di funzionalità.
La Cassazione ha pertanto ribadito l’orientamento secondo cui il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza e consulenza per la redazione e la presentazione della domanda di concordato preventivo rientra de plano tra i crediti sorti “in funzione” di quest’ultima procedura e, come tale, a norma dell’art. 111, comma 2, L. fall., va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (Cass. n. 22450/2015).
Per tali motivi la Corte ha accolto il ricorso.
Avv. Gavril Zaccaria

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Il professionista proponeva opposizione.
Il Tribunale di Firenze rigettava il ricorso in quanto l’opponente non aveva provato il rapporto di funzionalità fra la presentazione della domanda di concordato e l’interesse della massa dei creditori.
Pertanto il professionista proponeva ricorso per cassazione lamentando che l’art. 111 Legge Fall. non richiedeva la prova che le prestazioni professionali fossero stati utili per la massa dei creditori.
Secondo gli Ermellini i crediti sorti a seguito delle prestazioni rese in favore dell’imprenditore per la redazione della domanda di concordato preventivo e per la relativa assistenza rientrano quindi fra quelli da soddisfarsi in prededuzione ai sensi dell’art. 111 comma 2 L. fall. poiché questa norma individua un precetto di carattere generale, privo di restrizioni, che, per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, introduce un’eccezione al principio della par conditio creditorum, estendendo in caso di fallimento la preducibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali (Cass. n. 1765/2015).
Ne discende che la verifica del nesso di funzionalità/strumentalità deve essere compiuta controllando se l’attività professionale prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, non potendo l’evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, di per sé sola e pena la frustrazione dell’obiettivo della norma, escludere il ricorso all’istituto.
Nessuna verifica deve invece essere compiuta, ove alla procedura minore consegua il fallimento, in ordine al conseguimento di una utilità in concreto per la massa dei creditori, concetto che non può essere confuso o sovrapposto a quello di funzionalità.
La Cassazione ha pertanto ribadito l’orientamento secondo cui il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza e consulenza per la redazione e la presentazione della domanda di concordato preventivo rientra de plano tra i crediti sorti “in funzione” di quest’ultima procedura e, come tale, a norma dell’art. 111, comma 2, L. fall., va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (Cass. n. 22450/2015).
Per tali motivi la Corte ha accolto il ricorso.
Avv. Gavril Zaccaria
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