Misure cautelari: ammessa l’applicazione in relazione alla colpa professionale

“In relazione alla colpa professionale è ammessa l’applicazione di misure cautelari motivate dal pericolo di reiterazione del reato. Anche in tale ambito, infatti, il giudice ben può porre in essere una prognosi di ripetizione dei comportamenti criminosi in relazione alle caratteristiche della struttura in cui opera il professionista e al comportamento da questi tenuto, specie quando l’offesa temuta riguardi gli stessi interessi collettivi già colpiti”.

È quanto stabilito dalla IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27420/2018 del 14 giugno.

I fatti oggetto della sentenza de qua prendono avvio dalla sottoposizione di un medico curante a procedimento penale con l’accusa di aver colposamente cagionato la morte di un paziente di soli 6 anni, omettendo di effettuare gli approfondimenti diagnostici necessari e le cure antibiotiche e ribadendo anzi il proprio convincimento sull’efficacia delle cure omeopatiche prescritte.

Il GIP di Ancona ha adottato, a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., un’ordinanza con la quale ha disposto la misura cautelare della sospensione della professione medica nei confronti di M.M.

Avverso tale ordinanza l’esercente la professione sanitaria ha proposto ricorso al Tribunale del Riesame di Ancona, che lo ha rigettato. Il M. ha proposto ricorso in Cassazione per l’annullamento del provvedimento limitativo.

La Cassazione ha confermato la misura cautelare in virtù dell’esistenza di tutti i presupposti di legge necessari alla comminazione del suddetto provvedimento (art. 297, lett. c, c.p.p., i.e. pericolo di commissione di reati della stessa specie in considerazione delle circostanze del fatto e della personalità dell’imputato), basandosi sulla già consolidata giurisprudenza in materia e affermando che, nel caso di specie, è possibile l’applicazione di misure cautelari proprio in virtù del comportamento tenuto dal M, in particolare, ciò che è risultato decisivo nella decisione della Corte è stato, oltre all’atteggiamento del medico nell’insistere con la cura omeopatica nonostante l’aggravarsi delle condizioni del piccolo, anche la mancanza di vaglio critico professionale ed il tentativo di occultamento degli elementi necessari a chiarificare la vicenda.
Alla luce di tutto ciò, secondo gli Ermellini, si ha la prova dell’attualità e concretezza del ritenuto pericolo di reiterazione, che ha condotto alla conferma della interdittiva e alla condanna del medico alle spese processuali.

Dott.ssa Nashira Puccio