
Legge Pinto: illegittimità costituzionale parziale dell’articolo 4
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 88 del 26 aprile 2018 ha dichiarato la illegittimità costituzionale parziale dell’art. 4 della L. 89/2001, c.d. legge Pinto, in merito all’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.
Infatti, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 4 della L. 89/2001, la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è diventata definitiva.
la Corte Costituzionale evidenzia come già con la sentenza n. 30 del 2014 si era osservato che la succitata disposizione preclude la proposizione della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume essersi verificata, ravvisato nel differimento dell’esperibilità del rimedio un pregiudizio alla sua effettività.
La Consulta afferma che, nonostante l’intervento correttivo ad opera del legislatore con l’introduzione dei rimedi previsti dall’art. 1 commi 777, 781 e 782 della L. 208/2015, non ha rimediato al “vulnus costituzionale” riscontrato, in quanto questi non sono destinati ad operare in tutte le ipotesi.
Per la Corte Costituzionale rinviare alla conclusione del procedimento presupposto la proposizione della domanda di equa riparazione vuol dire “sovvertire la ratio per la quale è concepita, connotando di irragionevolezza la relativa disciplina”.
Pertanto, la Corte ha ravvisato profili di illegittimità in riferimento ai principi di ragionevolezza e ragionevole durata del processo previsti dagli artt. 3, 111 secondo comma, e dell’art. 117 primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
Dott.ssa Giulia Colicchio

Legge Pinto: illegittimità costituzionale parziale dell’articolo 4
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 88 del 26 aprile 2018 ha dichiarato la illegittimità costituzionale parziale dell’art. 4 della L. 89/2001, c.d. legge Pinto, in merito all’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.
Infatti, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 4 della L. 89/2001, la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è diventata definitiva.
la Corte Costituzionale evidenzia come già con la sentenza n. 30 del 2014 si era osservato che la succitata disposizione preclude la proposizione della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume essersi verificata, ravvisato nel differimento dell’esperibilità del rimedio un pregiudizio alla sua effettività.
La Consulta afferma che, nonostante l’intervento correttivo ad opera del legislatore con l’introduzione dei rimedi previsti dall’art. 1 commi 777, 781 e 782 della L. 208/2015, non ha rimediato al “vulnus costituzionale” riscontrato, in quanto questi non sono destinati ad operare in tutte le ipotesi.
Per la Corte Costituzionale rinviare alla conclusione del procedimento presupposto la proposizione della domanda di equa riparazione vuol dire “sovvertire la ratio per la quale è concepita, connotando di irragionevolezza la relativa disciplina”.
Pertanto, la Corte ha ravvisato profili di illegittimità in riferimento ai principi di ragionevolezza e ragionevole durata del processo previsti dagli artt. 3, 111 secondo comma, e dell’art. 117 primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
Dott.ssa Giulia Colicchio
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