Sanzioni amministrative, la maggiorazione semestrale è applicabile anche alle multe?

Con la sentenza n. 27887/2017 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema delle sanzioni amministrative.

La vicenda traeva origine da un’opposizione proposta da un soggetto avverso una cartella di pagamento notificata dall’agente della riscossione che aveva ad oggetto sanzioni amministrative emesse dal Comune di Bari per una serie di violazioni del Codice della Strada.

Il Giudice di Pace di Bari accoglieva la suddetta opposizione e conseguentemente annullava la cartella condannando altresì l’ente impositore alla rifusione delle spese di lite in favore della parte opponente.

Avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bari, l’ente impositore proponeva gravame dinanzi al Tribunale di Bari, il quale, accogliendo l’appello proposto, riteneva legittima la cartella di pagamento, della quale tuttavia ne dichiarava la nullità soltanto riguardo gli importi ivi indicati a titolo di maggiorazioni ai sensi dell’art. 27, L. n. 689 del 1981.

Il Comune di Bari impugnava la predetta sentenza con ricorso per cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 27, L. n. 689 del 1981 in virtù del fatto che il giudice del gravame aveva ritenuto illegittima la pretesa delle maggiorazioni previste dal comma 6 della suddetta norma.

L’orientamento consolidato dei giudici del palazzaccio considera “applicabile anche alle violazioni delle norme sulla circolazione stradale la maggiorazione del 10% per ogni semestre di ritardo a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e ciò sino a quando il ruolo non viene trasmesso all’esattore; tale previsione è compatibile con un sistema afflittivo di carattere sanzionatorio in caso di ulteriore ritardo nel pagamento e col chiaro disposto della L. n. 689 del 1981, art. 27 che, in caso di ritardo nel pagamento, prevede la maggiorazione di un decimo per ogni semestre”. (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21259 del 20/10/2016).

Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ritenendo fondata la censura avanzata dalla ricorrente accoglieva il ricorso proposto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., decideva nel merito sostituendo alla decisione del Tribunale una statuizione di rigetto dell’opposizione proposta dal trasgressore.

Dott. Matteo Pavia