Svista precettiva atti, mancata pronuncia non si traduce in errore revocatorio

“La mancata pronuncia da svista precettiva degli atti di causa non si traduce in errore revocatorio, allorquando la domanda o l’eccezione risulti implicitamente respinta in base a una lettura non formalistica della motivazione della decisione di cui si chiede la revoca”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione VI, con la sentenza n. 4055 del 22 agosto 2017.

Con la sentenza n. 3546 del 16 luglio 2015 il Consiglio di Stato rigettava l’appello proposto contro la sentenza del TAR Emilia Romagna che aveva respinto il ricorso originario ed i motivi aggiunti intesi ad ottenere l’annullamento degli atti con cui il Comune di Rimini aveva disposto e richiesto l’adeguamento dei canoni relativi alla concessione per la realizzazione e la gestione di un porto turistico.

La predetta sentenza veniva impugnata per revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 4), in quanto la stessa risulterebbe essere affetta da un errore di fatto.

La società ricorrente (il cui appello n. 308 del 2012 è stato respinto con la citata sentenza n. 3546/2015) lamentava che: la decisione del Collegio si sarebbe basata su di un errore di fatto, consistente nel mancato esame dei motivi di impugnazione che essa aveva dedotto nel ricorso introduttivo e riproposto con l’atto d’appello; la sentenza non avrebbe esaminato le doglianze di merito, senza esporre le relative ragioni; vi sarebbe, dunque, non un errore di valutazione del giudice, ma un errore di percezione di un fatto, trattandosi di una svista che ha provocato l’errata percezione degli atti del giudizio, poiché l’atto d’appello conteneva tutti gli elementi per procedere all’esame dei relativi motivi, pur nel caso di insussistenza dei presupposti per sollevare nuovamente una questione di legittimità costituzionale.

La società evidenziava che essa aveva riproposto in sede di appello tutti i motivi di illegittimità volti a censurare gli atti impugnati in primo grado, riservando alla questione di legittimità costituzionale una posizione residuale, essendo essa dedotta nel terzo motivo di ricorso ed in via subordinata.

Nonostante ciò il giudice non avrebbe esaminato i motivi proposti, così incorrendo in un errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa.

La sentenza n. 3546/2015 non avrebbe motivato il perché non abbia ritenuto di esaminare le censure dedotte nell’atto di appello, ignorandole.

Secondo i Giudici di Palazzo Spada “rientra nell’errore di fatto l’ipotesi di mancato esame di un motivo del ricorso, purché si sia trattato di un errore di un fatto processuale, quando cioè risulti evidente dalla decisione che il giudice non ha neppure percepito la deduzione di tale motivo (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 10 novembre 2015, n. 5127; Sez. V, 28 luglio 2014, n. 4012).

Peraltro, è stato chiarito che la mancata pronuncia da svista precettiva degli atti di causa non si traduce in errore revocatorio, allorquando la domanda o l’eccezione risulti implicitamente respinta in base ad una lettura non formalistica della motivazione della decisione di cui si chiede la revoca (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 aprile 2016, n. 1331)”.

Il Consiglio di Stato, pertanto, in sede rescindente, dispone la revocazione della sentenza della Sezione n. 3546 del 2015; in sede rescissoria, rigetta l’appello n. 308 del 2012 e conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna n. 659 del 2011 con diversa motivazione.

Dott. Andrea Paolucci