
Povera e senza dimora, rubare cibo comunque non giustificabile
Con la sentenza n. 6635 del 13 febbraio 2017 la Corte di Cassazione, Sez. IV Penale, ha ribadito la configurazione del tentativo di furto anche nei casi in cui la condotta delittuosa del soggetto agente sia mossa da un comprovato status di povertà.
Nel caso di specie la Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale in composizione monocratica che, all’esito del giudizio abbreviato, condannava per il reato di tentato furto aggravato ex art. 625 n. 2 c.p. una signora extracomunitaria rea confessa di aver rubato sei pezzi di formaggio dagli scaffali di un supermercato. Tuttavia l’imputata adiva la Suprema Corte di Cassazione deducendo in via principale l’annullamento della sentenza d’Appello per errata interpretazione dell’art. 54 c.p., ovvero la Corte territoriale non aveva accolto il motivo di gravame con cui si chiedeva di riconoscere alla signora di aver agito in stato di necessità in quanto indigente e non in grado di procurarsi i mezzi per sopravvivere.
Ebbene gli Ermellini, in ottemperanza ad un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, hanno ribadito come “la situazione di indigenza non è di per se idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo”. Difatti gli elementi costitutivi della causa di giustificazione invocata dalla parte ricorrente non potevano concretizzarsi, in quanto a parere della Suprema Corte la donna “ben avrebbe potuto soddisfare i propri bisogni alimentari immediati rivolgendosi, ad esempio, alla ‘Caritas’”, e ad ogni modo, spiegano i magistrati “non si può far discendere l’impossibilità di provvedere ai bisogni della vita dalla semplice qualità di extracomunitaria priva di permesso di soggiorno e di una stabile dimora”.
Per questi motivi i giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla donna, confermando la condanna a 2 mesi di reclusione inflitta dai Giudici del merito.
Dott. Ettore Salvatore Masullo

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Ebbene gli Ermellini, in ottemperanza ad un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, hanno ribadito come “la situazione di indigenza non è di per se idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo”. Difatti gli elementi costitutivi della causa di giustificazione invocata dalla parte ricorrente non potevano concretizzarsi, in quanto a parere della Suprema Corte la donna “ben avrebbe potuto soddisfare i propri bisogni alimentari immediati rivolgendosi, ad esempio, alla ‘Caritas’”, e ad ogni modo, spiegano i magistrati “non si può far discendere l’impossibilità di provvedere ai bisogni della vita dalla semplice qualità di extracomunitaria priva di permesso di soggiorno e di una stabile dimora”.
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