
Demanio ed autotutela, la sentenza del Consiglio di Stato
“Quando l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 823, co. 2, c.c., ritenga di esercitare il potere di autotutela possessoria, adottando un’ordinanza di rilascio di un bene demaniale occupato, occorre che l’occupazione sia abusiva e che tale condizione si era verificata”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 18 del 09 gennaio 2017.
Nel caso di specie, con la sentenza n. 51 dell’1 marzo 2005, il T.a.r. per il Friuli Venezia Giulia ha accolto, previa loro riunione, due ricorsi, proposti dalla parte appellata volti ad ottenere l’annullamento:
a) (con il ricorso di primo grado r.g.n. 323/01) dell’ordinanza sindacale prot. n. 13591/RT del 18.5.2001, di demolizione, e rimessione in pristino stato, di manufatto abusivo, con comminatoria, in difetto, di esecuzione in danno;
b) (con il ricorso di primo grado r.g.n. 410/01) dell’ordinanza sindacale prot. n. 17344/RT del 25.6.2001, di demolizione, e rimessione in pristino stato, di manufatto abusivo, con comminatoria, in difetto, di esecuzione in danno.
L’originale resistente impugnava la decisione del T.a.r. denunciandone la erroneità.
In via preliminare i giudici di Palazzo Spada davano atto “della circostanza che la parte odierna appellata non ha riproposto i motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal T.a.r. e che, pertanto, le uniche questioni da esaminare sono quelle sottese all’appello proposto dall’amministrazione comunale” e che “la riproposta eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado r.g. n. 323/01 è fondata in quanto: a) nella ordinanza n. prot. n. 13591/RT del 18.5.2001 venne evidenziato un profilo di tutela del bene demaniale riposante nella circostanza che l’originaria parte ricorrente in primo grado non era latrice di alcuna autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico; b) detta ordinanza, quindi, si reggeva su più profili autonomi, ognuno dei quali in grado di supportarne, anche ove isolatamente considerato, la parte dispositiva; c) per giurisprudenza consolidata (Consiglio di Stato, sez. VI, 30/09/2015, n. 4554) quando l’Amministrazione, ai sensi del citato articolo 823, comma 2 del codice civile, ritenga di esercitare il potere di autotutela possessoria, adottando un’ordinanza di rilascio di un bene demaniale occupato, occorre che l’occupazione sia abusiva e nel caso specifico, tale condizione si era verificata, in quanto la parte originaria ricorrente di primo grado non aveva titolo per occupare l’area”.
Inoltre, prosegue il Collegio, “il ricorso di primo grado non conteneva alcuna censura sul punto ed anche in appello la società appellata si è limitata a sostenere che essa era subentrata nella gestione del locale, e che essa ed il precedente titolare avevano pagato la tassa di occupazione di suolo pubblico” e che “il ricorso di primo grado, conclusivamente, doveva essere dichiarato inammissibile, in armonia con la consolidata tesi giurisprudenziale secondo la quale “ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza”.
Di conseguenza, l’appello veniva accolto parzialmente e “per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza che conferma nel resto, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado r.g. n. 323/01 con salvezza degli atti ivi impugnati”.
Dott. Andrea Paolucci

Demanio ed autotutela, la sentenza del Consiglio di Stato
“Quando l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 823, co. 2, c.c., ritenga di esercitare il potere di autotutela possessoria, adottando un’ordinanza di rilascio di un bene demaniale occupato, occorre che l’occupazione sia abusiva e che tale condizione si era verificata”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione IV, con la sentenza n. 18 del 09 gennaio 2017.
Nel caso di specie, con la sentenza n. 51 dell’1 marzo 2005, il T.a.r. per il Friuli Venezia Giulia ha accolto, previa loro riunione, due ricorsi, proposti dalla parte appellata volti ad ottenere l’annullamento:
a) (con il ricorso di primo grado r.g.n. 323/01) dell’ordinanza sindacale prot. n. 13591/RT del 18.5.2001, di demolizione, e rimessione in pristino stato, di manufatto abusivo, con comminatoria, in difetto, di esecuzione in danno;
b) (con il ricorso di primo grado r.g.n. 410/01) dell’ordinanza sindacale prot. n. 17344/RT del 25.6.2001, di demolizione, e rimessione in pristino stato, di manufatto abusivo, con comminatoria, in difetto, di esecuzione in danno.
L’originale resistente impugnava la decisione del T.a.r. denunciandone la erroneità.
In via preliminare i giudici di Palazzo Spada davano atto “della circostanza che la parte odierna appellata non ha riproposto i motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal T.a.r. e che, pertanto, le uniche questioni da esaminare sono quelle sottese all’appello proposto dall’amministrazione comunale” e che “la riproposta eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado r.g. n. 323/01 è fondata in quanto: a) nella ordinanza n. prot. n. 13591/RT del 18.5.2001 venne evidenziato un profilo di tutela del bene demaniale riposante nella circostanza che l’originaria parte ricorrente in primo grado non era latrice di alcuna autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico; b) detta ordinanza, quindi, si reggeva su più profili autonomi, ognuno dei quali in grado di supportarne, anche ove isolatamente considerato, la parte dispositiva; c) per giurisprudenza consolidata (Consiglio di Stato, sez. VI, 30/09/2015, n. 4554) quando l’Amministrazione, ai sensi del citato articolo 823, comma 2 del codice civile, ritenga di esercitare il potere di autotutela possessoria, adottando un’ordinanza di rilascio di un bene demaniale occupato, occorre che l’occupazione sia abusiva e nel caso specifico, tale condizione si era verificata, in quanto la parte originaria ricorrente di primo grado non aveva titolo per occupare l’area”.
Inoltre, prosegue il Collegio, “il ricorso di primo grado non conteneva alcuna censura sul punto ed anche in appello la società appellata si è limitata a sostenere che essa era subentrata nella gestione del locale, e che essa ed il precedente titolare avevano pagato la tassa di occupazione di suolo pubblico” e che “il ricorso di primo grado, conclusivamente, doveva essere dichiarato inammissibile, in armonia con la consolidata tesi giurisprudenziale secondo la quale “ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza”.
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