Permesso di soggiorno: domanda inammissibile se la documentazione è contraffatta

“In tema di immigrazione all’art.4, comma 2, del d.lg. n. 286 del 1998 stabilisce che l’uso di documentazione contraffatta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno rende inammissibile la domanda dell’immigrato”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza n. 4203 del 11 ottobre 2016.

Nel caso di specie, con decreto 10 febbraio 2015, il Questore di Reggio Emilia revocava il permesso di soggiorno rilasciato nel 2011, per protezione sussidiaria ex art. 17 d.lgs. n. 251/2007, ad un immigrato in quanto, da accertamenti eseguiti nel luglio 2014, risultava che la protezione sussidiaria era stata riconosciuta sulla base di documentazione contraffatta.

Ed infatti, l’immigrato – di cittadinanza ghanese – al fine di ottenere un permesso di soggiorno dichiarava al suo arrivo in Italia di essere cittadino liberiano esibendo il relativo passaporto.

Successivamente, nel corso del procedimento per il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato la questura di Reggio Emilia accertava che il passaporto della Repubblica della Liberia, esibito dall’immigrato, presentava evidenti segni di contraffazione.

In pari data, pertanto, il Questore di Reggio Emilia con altro decreto, richiamata la revoca del titolo di soggiorno per ragioni umanitarie di cui sopra, dichiarava irricevibile l’istanza di rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

Avverso il decreto di diniego di permesso di soggiorno 10 febbraio 2015 veniva proposto ricorso al TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, che con sentenza semplificata del 16 febbraio 2016 lo respingeva.

La predetta decisione veniva impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, chiedendone la riforma, deducendo che “il decreto sarebbe viziato per eccesso di potere e per difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto il Questore non avrebbe tenuto conto del fatto che l’immigrato, in Italia fin dal 2002, è incensurato e svolge regolare attività lavorativa presso il -OMISSIS- fin dal 2006, con qualifica di biscottiere e con contratto a tempo indeterminato, mentre il diniego di rilascio del permesso di soggiorno lo costringerebbe a lasciare il territorio nazionale, con il conseguente distacco dall’ambiente nel quale è inserito ed in assenza di persistenti legami con il paese di origine in Africa.”.

I giudici di Palazzo Spada – condividendo l’iter logico seguito dal giudice di primo grado – hanno, però, respinto l’appello poiché “nel caso di specie la Questura non poteva tener conto a favore dell’immigrato né della stabile occupazione, né della ultradecennale permanenza in Italia, visto che la normativa sull’immigrazione all’art.4, comma 2, del d.lgs. n. 286/1998 stabilisce che l’uso di documentazione contraffatta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno rende inammissibile la domanda dell’immigrato.

Infatti, la circostanza che l’immigrato non fosse cittadino liberiano e che il passaporto liberiano fosse contraffatto trova ulteriore riscontro anche nel fatto che in quel periodo l’immigrato ha ottenuto dalla Questura di Reggio Emilia una serie di visti di reingresso in Italia, per consentirgli il rientro dopo i viaggi fatti con frequenza quasi annuale in Ghana, dove vivevano la moglie e la figlia, le quali, nonostante il nullaosta ottenuto il 3 dicembre 2013 per il ricongiungimento familiare in Italia, tuttavia non hanno fatto ingresso sul territorio nazionale”.

Dott. Andrea Paolucci