
Dipendente emarginato in ufficio, il risarcimento dell'azienda
Con la sentenza n. 9899 depositata in data 16 maggio 2016 la Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sul risarcimento del danno biologico, nello specifico sul caso di un dipendente di Banca che aveva visto aggravarsi la sua malattia in seguito alla decisione del suo datore di lavoro di collocarlo all’interno dell’Ufficio in una postazione tale da essere isolato rispetto ai colleghi.
Il Tribunale del Lavoro e la Corte d’Appello avevano ammesso il provvedimento cautelare di assegnazione ad una postazione che evitasse al lavoratore l’isolamento dagli altri colleghi, e condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso in esame, ha ritenuto infondati i motivi del ricorso proposto dalla Banca ed ha confermato le sentenze di merito ribadendo il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento dannoso dell’aggravamento della malattia.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno ritenuto imprescindibile il principio di equivalenza delle concause lavorative nella produzione dell’evento dannoso in base alla norma di cui all’art. 41 c.p. che si applica anche alla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Infatti, l’aggravamento delle condizioni del lavoratore non era riconducibile esclusivamente alla decisione del lavoratore di sospendere la terapia medica, ma anche dalla emarginazione subita sul luogo di lavoro che gli aveva provocato delle forti crisi d’ansia.
Per questi motivi gli Ermellini hanno ritenuto fondata la “ratio decidenti” della sentenza d’Appello confermando la presenza di un concorso di cause, indipendenti tra loro, ma da sole non sufficienti a determinare l’evento.
Dott. Ettore Salvatore Masullo

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Il Tribunale del Lavoro e la Corte d’Appello avevano ammesso il provvedimento cautelare di assegnazione ad una postazione che evitasse al lavoratore l’isolamento dagli altri colleghi, e condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso in esame, ha ritenuto infondati i motivi del ricorso proposto dalla Banca ed ha confermato le sentenze di merito ribadendo il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento dannoso dell’aggravamento della malattia.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno ritenuto imprescindibile il principio di equivalenza delle concause lavorative nella produzione dell’evento dannoso in base alla norma di cui all’art. 41 c.p. che si applica anche alla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Infatti, l’aggravamento delle condizioni del lavoratore non era riconducibile esclusivamente alla decisione del lavoratore di sospendere la terapia medica, ma anche dalla emarginazione subita sul luogo di lavoro che gli aveva provocato delle forti crisi d’ansia.
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