Quasi-flagranza: c’è anche la ricerca del reo

Lo stato di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l’inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (…)”.

Lo ha statuito la Suprema Corte all’interno della sentenza n. 7285 del 15 dicembre 2016, depositata in data 24 febbraio 2016, con la quale i Giudici di legittimità hanno annullato l’ordinanza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Brindisi statuente la non convalida dell’arresto a causa, per l’appunto, della mancanza di quasi flagranza.

Sebbene infatti, in alcune precedenti pronunce, fosse stata esclusa la possibilità di arresto in quasi flagranza, nell’ipotesi di inseguimento del reo, da parte della Polizia Giudiziaria, soltanto a seguito dell’ottenimento di informazioni da parte di terzi, con la sentenza in esame, la Suprema Corte coglie l’occasione per evidenziare come l’orientamento maggioritario deponga invece a favore di tale eventualità.

I Giudici osservano in effetti, adeguandosi al suddetto orientamento più diffuso, come l’unico presupposto essenziale, affinché ci sia possibilità di arresto in quasi flagranza, pur se a seguito di inseguimento successivo, debba essere la mancanza di continuità tra “il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato”.

Si considera come, in tal modo, risulti meglio interpretata la norma codicistica di riferimento (art. 382 C.p.p.), la quale non pretende in alcun modo che la “quasi flagranza” sussista soltanto nell’ipotesi in cui la Polizia giudiziaria individui il responsabile del reato mediante la sua diretta percezione e non anche attraverso informazioni acquisite da terzi, come nell’ipotesi di specie, o dalla vittima medesima.

Dott.ssa Daniela Mongillo