Nonnismo, ministero della Difesa condannato a risarcire ragazzo con disturbi socio-comportamentali

aprile 18th, 2013|Articoli, Diritto civile|

Con la sentenza del 26 febbraio 2013 n.4809, la Corte di Cassazione, ha stabilito che il ministero della Difesa è tenuto a risarcire il danno ogniqualvolta chi, già portatore di una patologia comportamentale, si aggrava a causa del “nonnismo” che subisce durante il servizio militare.

Il fatto è accaduto ad un giovane che, affetto da disturbi socio-comportamentali, era stato avviato al servizio militare. Poco tempo dopo, e successivamente ad una pluralità di visite mediche, veniva congedato anticipatamente per malattia mentale (la diagnosi precisa era “psicosi schizofrenica”). Il giovane, ritenendo che le cause del suo peggioramento fossero state gli atti di scherno e di “nonnismo” che aveva subito nella caserma, fece ricorso all’autorità giudiziaria per chiedere la condanna al risarcimento del danno da parte del ministero.

La Corte d’Appello di Messina, in riforma totale della sentenza di primo grado, condannava il ministero a risarcire il danno al soggetto leso: ritenne, infatti, che i dipendenti e i medici con i loro comportamenti avevano avevano contribuito all’aggravamento delle condizioni del giovane.

Con riguardo al nesso causale richiesto ai fini dell’ascrivibilità della responsabilità in oggetto (art. 2043 cod. civ.), la Corte d’Appello affermava che: “la responsabilità dello Stato nei confronti di terzi per atti dei propri dipendenti – funzionari non richiede che tra le mansioni svolte dall’autore dell’illecito e l’evento esista un nesso causale, essendo sufficiente che tali mansioni abbiano determinato e/o agevolato la realizzazione del fatto lesivo”.

La Corte di Cassazione, ha rigettato il ricorso presentato dal ministero della Difesa contro la sentenza di secondo grado. Secondo la Corte: “l’accertamento del nesso causale tra la condotta e l’evento dannoso rappresenta un’indagine di fatto devoluta al giudice del merito e, perciò, il giudice di legittimità può solamente controllare, nei limiti di cui all’ art. 360 c.p.c., l’idoneità delle ragioni poste a fondamento della decisione di merito, verificando la congruenza logica e la sufficienza delle argomentazioni relative alla potenzialità dannosa del comportamento illecito e l’effettiva attuazione in concreto di tale potenzialità”. Con tale rigetto, la Suprema Corte, ha confermato la decisione dei giudici del merito, condannando così il ministero della Difesa a risarcire il danno al giovane affetto da psicosi schizofrenica.