
Responsabilità medico-professionale, nesso di causalità materiale
Il presente contributo trae origine da una riflessione effettuata intorno ad una recente pronuncia del Tribunale Penale di Roma che si è occupato di una questione relativa all’omicidio colposo di un medico per aver questi cagionato con la propria condotta la morte di un proprio paziente.
La sentenza affronta perciò la questione della professione medica che costituisce per così dire il prototipo di un particolare modello dell’agire umano: quello dell’adozione doverosa di misure di diligenza, prudenza e perizia che – tuttavia – non offrono, di regola, la certezza di evitare un certo evento. Si è in presenza di una situazione di pericolo già concretamente manifestata connessa alla patologia in atto; oppure connessa alle possibili « complicanze » delle pratiche mediche che si stanno attuando. Il sanitario è tenuto ad adottare le misure imposte dalle leges artìs e conformante alla “doverosa regola d’arte”, anche se non vi è per nulla la certezza che esse eviteranno l’evento temuto. E’un dovere imposto dallo stato dell’arte e che l’ordinamento penale richiede.
In caso di decesso in seguito ad intervento di equipe medica risponde di responsabilità medica sempre l’intera équipe la responsabilità penale dovrà essere valutata con riferimento alle mansioni ed all’operato di ciascun componente, non potendo affermarsi la responsabilità sulla scorta di un errore diagnostico genericamente attribuito alla “équipe” nel suo complesso. Naturalmente, chi avrà mansioni di supervisione, controllo ed insegnamento dovrà rispondere al di là dei limiti del proprio operato, bensì anche di quello degli altri che non abbiano agito con dolo o colpa grave, al di fuori della sua sfera di controllo ed intervento.
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 16328, Aprile 2011, ben sintetizza l’evoluzione dell’interpretazione giurisprudenziale succedutasi nel tempo: dal filone iniziale di decisioni più benevole e garantiste per i medici, sì da non bloccare le sperimentazioni e le indagini scientifiche, ad un indirizzo successivo che ha superato il limite della sola “colpa grave” di cui all’articolo 2236 del codice civile e che ha imposto di valutare sempre e comunque, nell’ambito penale, le regole generali della colpa per negligenza previste dall’articolo 43 del codice penale, estendendo la responsabilità del sanitario al di là della colpa grave, ma anche ai casi di colpa di minore intensità, in considerazione della particolare natura dei beni tutelati (vita e salute), di rango Costituzionale.
In sintesi, si potrà parlare di colpa medica nel caso in cui, sotto il profilo soggettivo della colpa, si sarebbe potuto pretendere in concreto da quel medico ed in quel momento ed alla luce delle sue conoscenze, una condotta astrattamente differente e doverosa
Studio Scicchitano

Responsabilità medico-professionale, nesso di causalità materiale
Il presente contributo trae origine da una riflessione effettuata intorno ad una recente pronuncia del Tribunale Penale di Roma che si è occupato di una questione relativa all’omicidio colposo di un medico per aver questi cagionato con la propria condotta la morte di un proprio paziente.
La sentenza affronta perciò la questione della professione medica che costituisce per così dire il prototipo di un particolare modello dell’agire umano: quello dell’adozione doverosa di misure di diligenza, prudenza e perizia che – tuttavia – non offrono, di regola, la certezza di evitare un certo evento. Si è in presenza di una situazione di pericolo già concretamente manifestata connessa alla patologia in atto; oppure connessa alle possibili « complicanze » delle pratiche mediche che si stanno attuando. Il sanitario è tenuto ad adottare le misure imposte dalle leges artìs e conformante alla “doverosa regola d’arte”, anche se non vi è per nulla la certezza che esse eviteranno l’evento temuto. E’un dovere imposto dallo stato dell’arte e che l’ordinamento penale richiede.
In caso di decesso in seguito ad intervento di equipe medica risponde di responsabilità medica sempre l’intera équipe la responsabilità penale dovrà essere valutata con riferimento alle mansioni ed all’operato di ciascun componente, non potendo affermarsi la responsabilità sulla scorta di un errore diagnostico genericamente attribuito alla “équipe” nel suo complesso. Naturalmente, chi avrà mansioni di supervisione, controllo ed insegnamento dovrà rispondere al di là dei limiti del proprio operato, bensì anche di quello degli altri che non abbiano agito con dolo o colpa grave, al di fuori della sua sfera di controllo ed intervento.
La sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 16328, Aprile 2011, ben sintetizza l’evoluzione dell’interpretazione giurisprudenziale succedutasi nel tempo: dal filone iniziale di decisioni più benevole e garantiste per i medici, sì da non bloccare le sperimentazioni e le indagini scientifiche, ad un indirizzo successivo che ha superato il limite della sola “colpa grave” di cui all’articolo 2236 del codice civile e che ha imposto di valutare sempre e comunque, nell’ambito penale, le regole generali della colpa per negligenza previste dall’articolo 43 del codice penale, estendendo la responsabilità del sanitario al di là della colpa grave, ma anche ai casi di colpa di minore intensità, in considerazione della particolare natura dei beni tutelati (vita e salute), di rango Costituzionale.
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