
Affidamento in prova, brevità della pena non ostativa della misura alternativa
La Suprema Corte di Cassazione, I Sez. Penale, con la sentenza n.1032 del 10/01/2019 si è espressa sui parametri di valutazione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, nello specifico sul parametro della brevità.
La Corte ha infatti accolto il ricorso, proposto dal condannato, contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Genova che aveva rigettato la sua richiesta di affidamento in prova sulla base della brevità della pena residuale da espiare.Ha infatti stabilito che tale elemento non è ostativo all’affidamento in prova e che “non soltanto non è codificato da alcuna disposizione, ma che addirittura contraddice la funzione tipica della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale: quella di adottare una soluzione alternativa al carcere, che attraverso una minore compressione della libertà personale favorisca il reinserimento sociale del condannato”.
Gli ermellini hanno infatti motivato che l’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario contempla la possibilità per il condannato ad una pena non superiore a tre anni di detenzione di chiedere l’affidamento al servizio sociale, per un periodo pari alla pena da espiare, qualora si ritenga che il provvedimento possa contribuire alla rieducazione del reo e assicurare la prevenzione dal pericolo di recidiva. Richiamando la sentenza n. 44992 del 17/9/2018, la Corte ha, poi, precisato quali sono i parametri di valutazione della misura alternativa dell’affidamento in prova: “la valutazione deve essere compiuta non soltanto tenendo conto della violazione della legge penale e delle modalità della sua commissione, ma anche, e soprattutto, del comportamento tenuto successivamente al reato e delle condizioni di contesto, personale e socio-ambientale, che possono rilevare, sul piano prognostico ai fini del possibile reinserimento sociale del condannato e del contenimento del rischio di recidiva”.
Dunque l’elemento della brevità, posto a fondamento del rigetto dell’istanza proposta dal condannato, è da ritenersi secondo la Corte un puro elemento di fatto, non contemplatotra i requisiti richiesti per l’applicazione della fattispecie in esame.
La Corte, alla luce di quanto esposto, ha accolto il ricorso, annullato l’ordinanza impugnata e rinviato per un nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Genova.
Dott.ssa Simona Arcieri

Affidamento in prova, brevità della pena non ostativa della misura alternativa
La Suprema Corte di Cassazione, I Sez. Penale, con la sentenza n.1032 del 10/01/2019 si è espressa sui parametri di valutazione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, nello specifico sul parametro della brevità.
La Corte ha infatti accolto il ricorso, proposto dal condannato, contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Genova che aveva rigettato la sua richiesta di affidamento in prova sulla base della brevità della pena residuale da espiare.Ha infatti stabilito che tale elemento non è ostativo all’affidamento in prova e che “non soltanto non è codificato da alcuna disposizione, ma che addirittura contraddice la funzione tipica della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale: quella di adottare una soluzione alternativa al carcere, che attraverso una minore compressione della libertà personale favorisca il reinserimento sociale del condannato”.
Gli ermellini hanno infatti motivato che l’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario contempla la possibilità per il condannato ad una pena non superiore a tre anni di detenzione di chiedere l’affidamento al servizio sociale, per un periodo pari alla pena da espiare, qualora si ritenga che il provvedimento possa contribuire alla rieducazione del reo e assicurare la prevenzione dal pericolo di recidiva. Richiamando la sentenza n. 44992 del 17/9/2018, la Corte ha, poi, precisato quali sono i parametri di valutazione della misura alternativa dell’affidamento in prova: “la valutazione deve essere compiuta non soltanto tenendo conto della violazione della legge penale e delle modalità della sua commissione, ma anche, e soprattutto, del comportamento tenuto successivamente al reato e delle condizioni di contesto, personale e socio-ambientale, che possono rilevare, sul piano prognostico ai fini del possibile reinserimento sociale del condannato e del contenimento del rischio di recidiva”.
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