Recupero onorari avvocati: la Cassazione sulla scelta del rito da applicare
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4002 del 29 febbraio 2016, si è pronunciata sulla scelta del rito applicabile in materia di recupero degli onorari degli Avvocati nei confronti dei propri clienti.
La Suprema Corte in particolare ha affermato il seguente principio di diritto: “Le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28 come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34 ed a seguito dell’abrogazione della L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14 anche in ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda”.
Come noto, nell’interpretazione della disciplina previgente la Giurisprudenza di legittimità e la dottrina prevalente consideravano la contestazione sull’an della prestazione dovuta motivo sufficiente per dichiarare l’inammissibilità della domanda di recupero onorari proposta nelle forme dell’art. 702 bis, senza possibilità di mutamento del rito.
Si registrava tuttavia un orientamento difforme, che riteneva convertibile il giudizio proposto nelle forme del rito sommario, soprattutto perché il problema sulla scelta del rito poteva sorgere unicamente al momento della costituzione del resistente in giudizio, con le contestazioni sull’an e sul quantum debeatur.
Gli Ermellini, aderendo ad una terza tesi considerata in linea con l’intenzione del Legislatore di semplificare il giudizio civile e di garantire il principio di economicità processuale, con la sentenza in commento hanno disposto che l’intero giudizio sui compensi dell’Avvocato debba essere trattato con il “nuovo” rito sommario (ovvero secondo le modalità previste dall’art. 14 D. Lgs. 150/2011), anche in presenza di contestazioni sull’an della pretesa.
Tale rito, infatti, garantirebbe la cognizione anche in presenza di un’istruttoria ed una trattazione semplificata.
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La Suprema Corte in particolare ha affermato il seguente principio di diritto: “Le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28 come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34 ed a seguito dell’abrogazione della L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14 anche in ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda”.
Come noto, nell’interpretazione della disciplina previgente la Giurisprudenza di legittimità e la dottrina prevalente consideravano la contestazione sull’an della prestazione dovuta motivo sufficiente per dichiarare l’inammissibilità della domanda di recupero onorari proposta nelle forme dell’art. 702 bis, senza possibilità di mutamento del rito.
Si registrava tuttavia un orientamento difforme, che riteneva convertibile il giudizio proposto nelle forme del rito sommario, soprattutto perché il problema sulla scelta del rito poteva sorgere unicamente al momento della costituzione del resistente in giudizio, con le contestazioni sull’an e sul quantum debeatur.
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