Published On: 29 Maggio 2016Categories: Alessandro Rucci, Articoli, Diritto fallimentareBy

MIPAAF-Federconsorzi: la sentenza della Cassazione sull'anatocismo

Con sentenza n. 9887/16, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di capitalizzazione degli interessi e anatocismo.

Il fatto riguardava l’impugnazione, da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, della condanna al pagamento del tasso di interesse extralegale e l’anatocismo accolti nella sentenza di appello in favore della Federconsorzi in concordato preventivo, in riferimento al pagamento delle gestioni di ammassi obbligatori di cereali, svolte dai consorzi agrari per conto dello Stato dal secondo dopoguerra al 1962.

Con il primo e il secondo motivo del ricorso, strettamente collegati tra loro, parte ricorrente lamentava la violazione dell’art. 1283 c.c. – il quale dispone che “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi” – dell’art. 4, comma terzo, L. n. 154/1992 – il quale dispone che “Le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte” – e dell’art. 117, comma sesto, D. Lgs. n. 385/1993 – il quale dispone che “Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.

Con il terzo motivo di ricorso, in subordine, il ricorrente lamentava, invece, la violazione dell’art. 8, comma primo, L. n. 410/1999 – il quale dispone che “I commissari liquidatori dei consorzi agrari in liquidazione coatta amministrativa alla data di entrata in vigore della presente legge, nei confronti dei quali sia stato precedentemente revocato l’esercizio provvisorio d’impresa, possono essere autorizzati, sentito il comitato di sorveglianza di cui all’articolo 198 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, al ripristino dell’esercizio stesso, a condizione che presentino un adeguato programma per la sistemazione della situazione debitoria pregressa da cui risultino altresì le disponibilità finanziarie residue, indispensabili per la ripresa dell’attività” – per cui i crediti, nel caso de quo derivanti dalle gestioni di ammassi obbligatori di cereali, si sarebbero estinti mediante assegnazioni di titoli di Stato con interessi fino al 31/12/1995 sulla base del TUS maggiorato di 4, 40 punti e capitalizzazione annuale.

Inoltre, il ricorrente, con memoria difensiva del 20/11/2013, chiedeva l’applicazione dello jus superveniens, costituito dall’art. 12, comma sesto, D.L. n. 16/2012, convertito nella L. n. 44/2012 – il quale dispone che “I crediti derivanti dalle gestioni di ammasso obbligatorio e di commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali, svolte dai consorzi agrari per conto e nell’interesse dello Stato, diversi da quelli estinti ai sensi dell’articolo 8, comma 1, della legge 28ottobre 1999, n. 410, come modificato dall’articolo 130 della legge23 dicembre 2000, n. 388, quali risultanti dai rendiconti approvati con decreti definitivi ed esecutivi del Ministro dell’agricoltura e delle foreste e registrati dalla Corte dei conti, che saranno estinti nei riguardi di coloro che risulteranno averne diritto, nonché le spese e gli interessi maturati a decorrere dalla data di chiusura delle relative contabilità, indicata nei decreti medesimi, producono interessi calcolati: fino al 31 dicembre 1995 sulla base del tasso ufficiale di sconto maggiorato di 4, 40 punti, con; per il periodo successivo sulla base dei soli interessi legali” – per cui, i crediti indicati nel predetto art. 8, comma primo, L. n. 410/1999, “saranno estinti nei confronti di ‘coloro che risulteranno averne diritto’, con interessi per il periodo successivo al 31/12/1995 sulla base dei soli interessi legali”.

Ciò premesso, la Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 28/11/2013, dapprima disponeva rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., sull’eventuale violazione della Direttiva 2000/35/CE, in materia di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali, la quale ha ritenuto che, lo Stato membro che abbia applicato l’art.6, par. 3, lett. b) della citata direttiva europea, possa – durante il termine di trasposizione della successiva direttiva del 16/02/2011 – “adottare disposizioni legislative (nella specie, la L. n. 410/1999 e specificatamente l’art. 8 e successive modifiche) idonee a mutare, a sfavore di un creditore dello Stato, gli interessi prodotti da un credito derivante dall’esecuzione di un contratto concluso prima dell’8 agosto 2002”.

Successivamente, la Suprema Corte precisava di non aver rilevato alcuna fonte – né alcun riferimento di parte controricorrente – su cui fondare il diritto a quanto stabilito nella sentenza di appello. Infatti, tutte le circolari e i decreti ministeriali risalenti all’epoca delle gestioni di ammassi obbligatori di cereali “richiamati dalla Corte di merito, attengono al saggio di interessi, che non costituisce oggetto di impugnazione. Solo alcune relazioni tecniche consultive o relative a disegni di legge, si riferiscono a ‘capitalizzazione semestrale’. Ma è evidente che tali documenti, privi di uno specifico valore normativo, non potevano essere idonei a determinare l’assunzione da parte dello Stato di tale computo di interessi”.

Infatti, la sentenza impugnata solamente si riferiva al D.Lgs. N. 169/1948 – per cui il controricorrente doveva provvedere “al preventivo finanziamento del controvalore in lire della valuta occorrente per gli acquisti nonché a quello delle spese occorrenti per la resa delle merci importate (…)” – e all’art. 18, L. n. 1224/1957 – il quale precisa che “per le importazioni di cereali e dei loro derivati e di altri prodotti derivati dalla pani-pastificazione effettuata e da effettuare per conto dello Stato, restavano ferme le disposizioni emanate con il predetto Dlgs. N. 169” – per poi riconoscere alla Federconsorzi gli interessi de quo sulla base del D.Lgs. Luogotenenziale n. 579/1946 – per cui erano a carico dello Stato “gli interessi sulle somme anticipate dagli Istituti di credito per il pagamento delle quote integrative di prezzo e premi dovuti ai conferenti agli ammassi” di cereali.

Dunque, in nessuna delle tre norme da ultimo citate, si faceva riferimento alcuno al diritto alla capitalizzazione e al conseguente anatocismo.

Per questi motivi, la Corte accoglieva i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, anche con riferimento all’applicazione dello jus superveniens.

Dott. Alessandro Rucci

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Published On: 29 Maggio 2016Categories: Alessandro Rucci, Articoli, Diritto fallimentareBy

MIPAAF-Federconsorzi: la sentenza della Cassazione sull'anatocismo

Con sentenza n. 9887/16, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di capitalizzazione degli interessi e anatocismo.

Il fatto riguardava l’impugnazione, da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, della condanna al pagamento del tasso di interesse extralegale e l’anatocismo accolti nella sentenza di appello in favore della Federconsorzi in concordato preventivo, in riferimento al pagamento delle gestioni di ammassi obbligatori di cereali, svolte dai consorzi agrari per conto dello Stato dal secondo dopoguerra al 1962.

Con il primo e il secondo motivo del ricorso, strettamente collegati tra loro, parte ricorrente lamentava la violazione dell’art. 1283 c.c. – il quale dispone che “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi” – dell’art. 4, comma terzo, L. n. 154/1992 – il quale dispone che “Le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte” – e dell’art. 117, comma sesto, D. Lgs. n. 385/1993 – il quale dispone che “Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.

Con il terzo motivo di ricorso, in subordine, il ricorrente lamentava, invece, la violazione dell’art. 8, comma primo, L. n. 410/1999 – il quale dispone che “I commissari liquidatori dei consorzi agrari in liquidazione coatta amministrativa alla data di entrata in vigore della presente legge, nei confronti dei quali sia stato precedentemente revocato l’esercizio provvisorio d’impresa, possono essere autorizzati, sentito il comitato di sorveglianza di cui all’articolo 198 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, al ripristino dell’esercizio stesso, a condizione che presentino un adeguato programma per la sistemazione della situazione debitoria pregressa da cui risultino altresì le disponibilità finanziarie residue, indispensabili per la ripresa dell’attività” – per cui i crediti, nel caso de quo derivanti dalle gestioni di ammassi obbligatori di cereali, si sarebbero estinti mediante assegnazioni di titoli di Stato con interessi fino al 31/12/1995 sulla base del TUS maggiorato di 4, 40 punti e capitalizzazione annuale.

Inoltre, il ricorrente, con memoria difensiva del 20/11/2013, chiedeva l’applicazione dello jus superveniens, costituito dall’art. 12, comma sesto, D.L. n. 16/2012, convertito nella L. n. 44/2012 – il quale dispone che “I crediti derivanti dalle gestioni di ammasso obbligatorio e di commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali, svolte dai consorzi agrari per conto e nell’interesse dello Stato, diversi da quelli estinti ai sensi dell’articolo 8, comma 1, della legge 28ottobre 1999, n. 410, come modificato dall’articolo 130 della legge23 dicembre 2000, n. 388, quali risultanti dai rendiconti approvati con decreti definitivi ed esecutivi del Ministro dell’agricoltura e delle foreste e registrati dalla Corte dei conti, che saranno estinti nei riguardi di coloro che risulteranno averne diritto, nonché le spese e gli interessi maturati a decorrere dalla data di chiusura delle relative contabilità, indicata nei decreti medesimi, producono interessi calcolati: fino al 31 dicembre 1995 sulla base del tasso ufficiale di sconto maggiorato di 4, 40 punti, con; per il periodo successivo sulla base dei soli interessi legali” – per cui, i crediti indicati nel predetto art. 8, comma primo, L. n. 410/1999, “saranno estinti nei confronti di ‘coloro che risulteranno averne diritto’, con interessi per il periodo successivo al 31/12/1995 sulla base dei soli interessi legali”.

Ciò premesso, la Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 28/11/2013, dapprima disponeva rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., sull’eventuale violazione della Direttiva 2000/35/CE, in materia di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali, la quale ha ritenuto che, lo Stato membro che abbia applicato l’art.6, par. 3, lett. b) della citata direttiva europea, possa – durante il termine di trasposizione della successiva direttiva del 16/02/2011 – “adottare disposizioni legislative (nella specie, la L. n. 410/1999 e specificatamente l’art. 8 e successive modifiche) idonee a mutare, a sfavore di un creditore dello Stato, gli interessi prodotti da un credito derivante dall’esecuzione di un contratto concluso prima dell’8 agosto 2002”.

Successivamente, la Suprema Corte precisava di non aver rilevato alcuna fonte – né alcun riferimento di parte controricorrente – su cui fondare il diritto a quanto stabilito nella sentenza di appello. Infatti, tutte le circolari e i decreti ministeriali risalenti all’epoca delle gestioni di ammassi obbligatori di cereali “richiamati dalla Corte di merito, attengono al saggio di interessi, che non costituisce oggetto di impugnazione. Solo alcune relazioni tecniche consultive o relative a disegni di legge, si riferiscono a ‘capitalizzazione semestrale’. Ma è evidente che tali documenti, privi di uno specifico valore normativo, non potevano essere idonei a determinare l’assunzione da parte dello Stato di tale computo di interessi”.

Infatti, la sentenza impugnata solamente si riferiva al D.Lgs. N. 169/1948 – per cui il controricorrente doveva provvedere “al preventivo finanziamento del controvalore in lire della valuta occorrente per gli acquisti nonché a quello delle spese occorrenti per la resa delle merci importate (…)” – e all’art. 18, L. n. 1224/1957 – il quale precisa che “per le importazioni di cereali e dei loro derivati e di altri prodotti derivati dalla pani-pastificazione effettuata e da effettuare per conto dello Stato, restavano ferme le disposizioni emanate con il predetto Dlgs. N. 169” – per poi riconoscere alla Federconsorzi gli interessi de quo sulla base del D.Lgs. Luogotenenziale n. 579/1946 – per cui erano a carico dello Stato “gli interessi sulle somme anticipate dagli Istituti di credito per il pagamento delle quote integrative di prezzo e premi dovuti ai conferenti agli ammassi” di cereali.

Dunque, in nessuna delle tre norme da ultimo citate, si faceva riferimento alcuno al diritto alla capitalizzazione e al conseguente anatocismo.

Per questi motivi, la Corte accoglieva i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, anche con riferimento all’applicazione dello jus superveniens.

Dott. Alessandro Rucci

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