Lavoratrice madre, disciplina dimissioni estesa a risoluzione consensuale?
Con sentenza n. 12128/2015 la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su un ricorso incardinato da una società datrice di lavoro perché condannata in secondo grado per il mancato ripristino del rapporto di lavoro, precedentemente risolto in via consensuale, di una lavoratrice in possesso del certificato medico attestante il proprio stato di gravidanza.
La Corte, a tal proposito, evidenziava la rilevanza dell’art. 55 del D.Lgs. n. 151/2001, rubricato “Divieto di licenziamento, dimissione, diritto al rientro“, il quale nel IV co. dispone che: “la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza … deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro“.
A tutela della maternità e della paternità, al fine di evitare che in simili ipotesi possa essere raggiunto l’effetto di una risoluzione del rapporto di lavoro derivante da un licenziamento, il legislatore ha, infatti, previsto una procedura di convalida delle dimissioni formulate dal lavoratore nel periodo protetto, mediante un’iniziativa formale dello stesso, affidando ai competenti servizi ispettivi del Ministero del Lavoro l’incarico di indagare sull’effettiva volontà o meno del lavoratore.
La medesima Corte ha poi ritenuto che, per le innegabili esigenze di salvaguardia della funzione familiare e della prole, la disciplina che regola le dimissioni della lavoratrice madre deve essere interpretata in modo estensivo rispetto a quella della risoluzione del rapporto con il consenso del datore di lavoro.
A riprova di quanto detto, la Suprema Corte ha poi evidenziato che il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 55, comma 4, in sostituzione dalla L. n. 92 del 2012, art. 4, comma 16, prevede espressamente che la risoluzione consensuale del rapporto, oltre alla richiesta di dimissioni, è sospensivamente condizionata dalla convalida del servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La Corte rigettava, quindi, il ricorso principale.
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La Corte, a tal proposito, evidenziava la rilevanza dell’art. 55 del D.Lgs. n. 151/2001, rubricato “Divieto di licenziamento, dimissione, diritto al rientro“, il quale nel IV co. dispone che: “la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza … deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro“.
A tutela della maternità e della paternità, al fine di evitare che in simili ipotesi possa essere raggiunto l’effetto di una risoluzione del rapporto di lavoro derivante da un licenziamento, il legislatore ha, infatti, previsto una procedura di convalida delle dimissioni formulate dal lavoratore nel periodo protetto, mediante un’iniziativa formale dello stesso, affidando ai competenti servizi ispettivi del Ministero del Lavoro l’incarico di indagare sull’effettiva volontà o meno del lavoratore.
La medesima Corte ha poi ritenuto che, per le innegabili esigenze di salvaguardia della funzione familiare e della prole, la disciplina che regola le dimissioni della lavoratrice madre deve essere interpretata in modo estensivo rispetto a quella della risoluzione del rapporto con il consenso del datore di lavoro.
A riprova di quanto detto, la Suprema Corte ha poi evidenziato che il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 55, comma 4, in sostituzione dalla L. n. 92 del 2012, art. 4, comma 16, prevede espressamente che la risoluzione consensuale del rapporto, oltre alla richiesta di dimissioni, è sospensivamente condizionata dalla convalida del servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
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