Diritto del lavoro
Published On: 10 Gennaio 2013Categories: Articoli, Diritto del LavoroBy

Infortuni sul lavoro, quali responsabilità ha l'impresa

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 600/2012, si è occupata del tema della sicurezza sul posto di lavoro ed, in particolare, si è mossa a delineare, in tale ambito, la responsabilità ascrivibile al datore di lavoro in caso di infortunio ai danni dei lavoratori distinguendo, in particolare, fra il rischio professionale e responsabilità civile e, conseguentemente, tra protezione indennitaria e risarcimento del danno.
In materia di tutela della persona del lavoratore, la Suprema Corte ha distinto tra il rischio professionale e la tutela di cui all’art. 2087 c.c. ed ha chiarito che, entro i limiti dell’obbligo assicurativo, il datore di lavoro è chiamato a rispondere non solo dei danni sofferti dal lavoratore causati da un comportamento colposo proprio o dei propri sottoposti, ma anche di quelli che – purché si siano verificati nello svolgimento dell’attività lavorativa (nesso tra infortunio ed attività lavorativa espletata) – siano conseguenza di caso fortuito, di forza maggiore e, anche, di colpa del lavoratore, con il solo limite della condotta totalmente arbitraria.
Diversamente, con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che dalla disposizione normativa di cui all’art. 2087 c.c. non può desumersi un’automatica responsabilità del datore di lavoro ogniqualvolta si verifichi un danno in quanto la responsabilità ivi sancita non può qualificarsi come “oggettiva”.
Invero, tale disposizione impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge con riferimento allo specifico ramo di attività esercitata e quelle generali dettate dalla comune prudenza nonché tutte quei rimedi che, in concreto, risultano necessari ai fini della tutela del lavoratore. Ciò detto, sarà possibile ravvisare una responsabilità del datore di lavoro legittimante la richiesta di risarcimento dei danni ex art. 2087 c.c., nei soli casi in cui parte datoriale violi tali obblighi di “protezione” e, dunque, ponga in essere una condotta colposa.
In conclusione, affinché il lavoratore possa agire per il risarcimento dei danni in occasione di un infortunio ex art. 2087 c.c., non basta che ricorra un nesso, come sopra esposto, tra l’infortunio e l’attività lavorativa espletata. La sussistenza di tale nesso, infatti, garantirebbe il solo diritto del lavoratore all’indennizzo nell’ambito della tutela assicurativa ma non anche il diritto al risarcimento del danno, per il quale è altresì necessario che ricorra un comportamento colposo da parte del datore di lavoro nei termini sopra descritti.

 

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Infortuni sul lavoro, quali responsabilità ha l'impresa

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 600/2012, si è occupata del tema della sicurezza sul posto di lavoro ed, in particolare, si è mossa a delineare, in tale ambito, la responsabilità ascrivibile al datore di lavoro in caso di infortunio ai danni dei lavoratori distinguendo, in particolare, fra il rischio professionale e responsabilità civile e, conseguentemente, tra protezione indennitaria e risarcimento del danno.
In materia di tutela della persona del lavoratore, la Suprema Corte ha distinto tra il rischio professionale e la tutela di cui all’art. 2087 c.c. ed ha chiarito che, entro i limiti dell’obbligo assicurativo, il datore di lavoro è chiamato a rispondere non solo dei danni sofferti dal lavoratore causati da un comportamento colposo proprio o dei propri sottoposti, ma anche di quelli che – purché si siano verificati nello svolgimento dell’attività lavorativa (nesso tra infortunio ed attività lavorativa espletata) – siano conseguenza di caso fortuito, di forza maggiore e, anche, di colpa del lavoratore, con il solo limite della condotta totalmente arbitraria.
Diversamente, con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che dalla disposizione normativa di cui all’art. 2087 c.c. non può desumersi un’automatica responsabilità del datore di lavoro ogniqualvolta si verifichi un danno in quanto la responsabilità ivi sancita non può qualificarsi come “oggettiva”.
Invero, tale disposizione impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge con riferimento allo specifico ramo di attività esercitata e quelle generali dettate dalla comune prudenza nonché tutte quei rimedi che, in concreto, risultano necessari ai fini della tutela del lavoratore. Ciò detto, sarà possibile ravvisare una responsabilità del datore di lavoro legittimante la richiesta di risarcimento dei danni ex art. 2087 c.c., nei soli casi in cui parte datoriale violi tali obblighi di “protezione” e, dunque, ponga in essere una condotta colposa.
In conclusione, affinché il lavoratore possa agire per il risarcimento dei danni in occasione di un infortunio ex art. 2087 c.c., non basta che ricorra un nesso, come sopra esposto, tra l’infortunio e l’attività lavorativa espletata. La sussistenza di tale nesso, infatti, garantirebbe il solo diritto del lavoratore all’indennizzo nell’ambito della tutela assicurativa ma non anche il diritto al risarcimento del danno, per il quale è altresì necessario che ricorra un comportamento colposo da parte del datore di lavoro nei termini sopra descritti.

 

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