
Cessione estera di un bene: quand'è esigibile l'IVA?
La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 10606/2015 ha stabilito il momento a partire dal quale l’IVA diventa esigibile relativamente a una somma versata come acconto per una cessione estera.
La vicenda trae origine dalla presunta violazione dell’obbligo di fatturazione previsto dall’art. 21 del D.P.R. n. 633 del 1972, denunciata dall’Agenzia delle entrate avverso una società che aveva versato una somma di denaro a titolo di acconto per la cessione di un macchinano industriale a una società estera (e per questo motivo non assoggettabile ad imposta secondo la società segnalata).
Successivamente all’annullamento del giudice di primo grado dell’avviso dell’Agenzia delle Entrate nonché al mancato accoglimento dell’appello proposto da quest’ultima, la stessa ricorreva innanzi la Corte di Cassazione.
La Suprema Corte in data 22/05/2015 cassava la sentenza impugnata e accoglieva il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate relativamente a uno solo dei motivi dedotti dalla stessa, e in particolare con riferimento a quello con cui essa deduceva la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 8 e 10, lamentando, in relazione all’acconto ricevuto dalla società, la qualificazione di operazione esente in ragione di una sua non meglio specificata natura finanziaria.
Nell’emissione del provvedimento, la Corte si è incentrata su quanto previsto dall’art. 10, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, laddove indica che l’imposta è dovuta per qualunque fatto “per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta”, e che “il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi”.
Inoltre, l’art. 10, n. 2, comma 2 del suindicato D.P.R. n. 633 del 1972, indica che nell’ipotesi di versamento di un acconto, l’IVA diventa esigibile anche se la cessione o la prestazione non siano state ancora eseguite, purché queste siano già note alle parti e che al momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano già specificamente individuati.
Infatti, in tal caso il contenuto economico dell’operazione si considera già – in tutto o in parte – realizzato, e il presupposto fiscale si ritiene sufficiente per la sua imponibilità, sia pure limitatamente all’importo pagato o fatturato.

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Successivamente all’annullamento del giudice di primo grado dell’avviso dell’Agenzia delle Entrate nonché al mancato accoglimento dell’appello proposto da quest’ultima, la stessa ricorreva innanzi la Corte di Cassazione.
La Suprema Corte in data 22/05/2015 cassava la sentenza impugnata e accoglieva il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate relativamente a uno solo dei motivi dedotti dalla stessa, e in particolare con riferimento a quello con cui essa deduceva la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 8 e 10, lamentando, in relazione all’acconto ricevuto dalla società, la qualificazione di operazione esente in ragione di una sua non meglio specificata natura finanziaria.
Nell’emissione del provvedimento, la Corte si è incentrata su quanto previsto dall’art. 10, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, laddove indica che l’imposta è dovuta per qualunque fatto “per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta”, e che “il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi”.
Inoltre, l’art. 10, n. 2, comma 2 del suindicato D.P.R. n. 633 del 1972, indica che nell’ipotesi di versamento di un acconto, l’IVA diventa esigibile anche se la cessione o la prestazione non siano state ancora eseguite, purché queste siano già note alle parti e che al momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano già specificamente individuati.
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