
Assegno invalidità: sì anche a eredi che non hanno prestato assistenza
Con sentenza n. 1323/2016, depositata il 26 gennaio u.s., la Corte di Cassazione ha affermato il principio per il quale il diritto a percepire la quota di indennità di accompagnamento spetta agli eredi dell’invalido anche se questi ultimi non abbiano provveduto all’effettiva assistenza dello stesso, senza che possa essere ravvisato in ciò un indebito arricchimento.
Tale decisione è stata presa a seguito di ricorso effettuato avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi, nella funzione di giudice di seconde cure, con la quale il Giudice, accogliendo la domanda avanzata da uno dei due figli, aveva devoluto l’intero importo dell’indennità di accompagnamento della madre deceduta all’unico figlio che l’aveva assistita fino al momento del decesso.
Sostenendo che sia un diritto degli eredi quello a percepire le quote della pensione d’inabilità o dell’indennità di accompagnamento (e che, quindi, non può configurare arricchimento senza causa), il ricorrente ha adito la Corte di Legittimità la quale, partendo da questa considerazione, ha affermato che agli eredi dell’invalido spettano le predette quote.
Specifica, infatti, la Suprema Corte che tale tipo di prestazioni assistenziali entrano a far parte del patrimonio del titolare, al quale sono stati attribuiti a seguito di domanda amministrativa ed al ricorrere dei presupposti di invalidità richiesti dalla legge.
Tali prestazioni assistenziali sono dunque suscettibili di essere trasmesse per successione ereditaria al momento della morte dell’avente diritto.
Tale ragionamento, in conclusione, porta a ritenere che venga in rilievo non una situazione di assistenza sociale obbligatoria, bensì una semplice situazione successoria e per tale motivo non è ravvisabile un indebito arricchimento da parte degli eredi ai quali sia attribuita la loro quota, pur senza aver prestato effettiva assistenza al soggetto invalido.

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Tale decisione è stata presa a seguito di ricorso effettuato avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi, nella funzione di giudice di seconde cure, con la quale il Giudice, accogliendo la domanda avanzata da uno dei due figli, aveva devoluto l’intero importo dell’indennità di accompagnamento della madre deceduta all’unico figlio che l’aveva assistita fino al momento del decesso.
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Specifica, infatti, la Suprema Corte che tale tipo di prestazioni assistenziali entrano a far parte del patrimonio del titolare, al quale sono stati attribuiti a seguito di domanda amministrativa ed al ricorrere dei presupposti di invalidità richiesti dalla legge.
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