
Il rapporto tra il reato di riciclaggio e il delitto di bancarotta
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 572 del 9 gennaio 2017, così si pronunciava in tema di reato di riciclaggio connesso al reato di bancarotta: «i delitti di riciclaggio e di ricettazione riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta sono configurabili anche nell’ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione del fallimento, in tutti i casi in cui tali distrazioni erano “ab origine” qualificabili come appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 c.p.».
Il caso specifico riguardava una sentenza di non luogo a procedere emessa dal GIP di Roma in ordine ad un procedimento nel quale agli imputati veniva contestato il reato di cui agli artt. 110, 648 bis c.p. per aver concorso nella sostituzione di denaro proveniente dal delitto di bancarotta. Inoltre, le condotte da questi perpetrate, si palesavano ostative per l’identificazione della provenienza illecita del denaro.
Il Giudice, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, emetteva il provvedimento suindicato sulla base dell’assunto secondo cui il delitto contestato agli imputati potesse ritenersi consumato solo nel caso in cui fosse intervenuta, precedentemente alle condotte illecite a questi ascritte, una declaratoria di fallimento della società.
Adiva la Suprema Corte il Pubblico Ministero sostenendo che le condotte poste in essere dagli imputati, seppur intervenute antecedentemente alla dichiarazione di fallimento, presentassero comunque rilievo penale essendo state poste in danno alla società poi fallita. Aggiungeva inoltre che, lo stesso Giudice di Legittimità, in precedenti pronunce, aveva sostenuto che, affinché potesse configurarsi il delitto di riciclaggio ai sensi dell’art. 648 bis. C.p., non fosse necessaria l’esatta individuazione del delitto presupposto, essendo al contrario sufficiente che i valori oggetto del reato de quo, provenissero da un delitto non colposo (sent Cass. n. 28715/13).
La Corte di Cassazione riteneva di pregio le eccezioni sollevate dal Pubblico Ministero condividendo in pieno le conclusioni da quest’ultimo rassegnate.
Pertanto, in accoglimento del ricorso proposto dal p.m., annullava con rinvio la sentenza di non luogo a procedere emessa dal GIP di Roma.
Dott. Marco Conti

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Il caso specifico riguardava una sentenza di non luogo a procedere emessa dal GIP di Roma in ordine ad un procedimento nel quale agli imputati veniva contestato il reato di cui agli artt. 110, 648 bis c.p. per aver concorso nella sostituzione di denaro proveniente dal delitto di bancarotta. Inoltre, le condotte da questi perpetrate, si palesavano ostative per l’identificazione della provenienza illecita del denaro.
Il Giudice, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, emetteva il provvedimento suindicato sulla base dell’assunto secondo cui il delitto contestato agli imputati potesse ritenersi consumato solo nel caso in cui fosse intervenuta, precedentemente alle condotte illecite a questi ascritte, una declaratoria di fallimento della società.
Adiva la Suprema Corte il Pubblico Ministero sostenendo che le condotte poste in essere dagli imputati, seppur intervenute antecedentemente alla dichiarazione di fallimento, presentassero comunque rilievo penale essendo state poste in danno alla società poi fallita. Aggiungeva inoltre che, lo stesso Giudice di Legittimità, in precedenti pronunce, aveva sostenuto che, affinché potesse configurarsi il delitto di riciclaggio ai sensi dell’art. 648 bis. C.p., non fosse necessaria l’esatta individuazione del delitto presupposto, essendo al contrario sufficiente che i valori oggetto del reato de quo, provenissero da un delitto non colposo (sent Cass. n. 28715/13).
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