Riforma Fornero, la bocciatura della Corte Costituzionale

maggio 16th, 2015|Articoli, Diritto del Lavoro|

Con Sentenza del 10.03.2015, depositata il 30.04.2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2001, n. 214 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), nella parte in cui prevede che

«In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento».

La Corte ha ritenuto che:

“L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.”

In pratica la suindicata sentenza ha dichiarato l’illegittimità della norma che ha escluso per gli anni 2012 e 2013 l’applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS.

Nella sostanza la perequazione automatica fa riferimento all’importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici dell’individuo e viene attribuita sulla base della variazione del costo della vita con cadenza annuale; la rivalutazione si commisura al rapporto percentuale tra il valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo all’anno di riferimento e il valore medio del medesimo indice relativo all’anno precedente.

Non è la prima volta che il legislatore adopera delle modifiche sulla perequazione automatica, però questa risulta essere la prima volta in cui la Consulta dichiara incostituzionale una modifica inerente le norme che sospende la perequazione.

Infatti già precedentemente la Legge 247/2007 aveva escluso per l’anno 2008, l’applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a otto volte il trattamento minimo INPS; tale Legge venne accusata di essere incostituzionale, ma la Consulta all’epoca con la sentenza 316/2010 aveva dichiarato costituzionale la norma che sospendeva la perequazione automatica, affermando che “per il loro importo piuttosto elevato, presentano margini di resistenza all’erosione del fenomeno inflattivo”.

Quindi la differenza tra le leggi che sospendevano la perequazione economica, ovvero la L.247/2007 e la L.214/2011 sta nel fatto che la prima sospendeva la perequazione solo per un anno e per le pensioni di importo complessivo superiore di otto volte, per tali ragione venne dichiarata costituzionale in quanto non aveva effetti permanenti sull’importo della pensione e resisteva all’inflazione; la seconda norma invece ha disposto il blocco della perequazione automatica per due anni anziché uno, e per le pensioni di importo complessivo superiore di tre volte il trattamento minimo INPS di talchè, per tali ordini di ragioni, secondo la sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 sono stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento pensionistico.