
Finalità rieducativa della pena: i vincoli nel potere discrezionale del giudice
L’art.132 cp (“Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale”), nella sua applicazione, deve ispirarsi al principio costituzionale della finalità rieducativa della pena (art.27 Cost.), così da orientare il giudice nell’esercizio di un potere discrezionale, comunque vincolato, sovvenendo i criteri legali di cui all’art.133 del codice penale.
L’onere della motivazione non è però assolto con il mero richiamo all’art.133 cp, senza specificazione degli elementi giustificativi della scelta della quantità della pena. La giurisprudenza della Cassazione è orientata nel senso di ritenere che la motivazione della quantità di pena applicata, tra il minimo ed il medio edittale, possa essere soddisfatta con il riferimento alla necessità di adeguamento al caso concreto. Non così quando il giudice applichi la pena nel massimo ed anche quando superi in modo vistoso il minimo edittale.
In questo caso il giudice è tenuto a motivare esplicitamente sulle ragioni della scelta sanzionatoria, non essendo sufficiente il mero richiamo alle espressioni “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”. È vero che frequentemente ci si abitui ad accettare le suddette formule. Non dovrebbe essere così. La motivazione è richiesta sia per l’affermazione di responsabilità dell’imputato e sia per la pena applicata, proprio nel rispetto del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena.
Valga la seguente importante massima della Suprema Corte (sez.II, sent.36245 del 18.9.2009, rv. 245596):
«La specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego di criteri di cui all’art. 133 cp, le espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere».
In conclusione, il diritto dell’imputato al controllo sulla corretta applicazione della legge, si esercita esclusivamente sulla motivazione, specie quando essa è espressione di un potere discrezionale. Diversamente opinando, il trattamento sanzionatorio non sarebbe applicato nel rispetto dell’art.132 cp e si avrebbe la trasformazione del delicato potere discrezionale in insindacabile arbitrio.

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L’onere della motivazione non è però assolto con il mero richiamo all’art.133 cp, senza specificazione degli elementi giustificativi della scelta della quantità della pena. La giurisprudenza della Cassazione è orientata nel senso di ritenere che la motivazione della quantità di pena applicata, tra il minimo ed il medio edittale, possa essere soddisfatta con il riferimento alla necessità di adeguamento al caso concreto. Non così quando il giudice applichi la pena nel massimo ed anche quando superi in modo vistoso il minimo edittale.
In questo caso il giudice è tenuto a motivare esplicitamente sulle ragioni della scelta sanzionatoria, non essendo sufficiente il mero richiamo alle espressioni “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”. È vero che frequentemente ci si abitui ad accettare le suddette formule. Non dovrebbe essere così. La motivazione è richiesta sia per l’affermazione di responsabilità dell’imputato e sia per la pena applicata, proprio nel rispetto del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena.
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