Delimitato peso probatorio dei dati acquisiti tramite Positioning

Negli ultimi anni il progresso tecnologico ha finito per impattare anche l’ambito investigativo e le operazioni compiute da parte degli inquirenti durante la fase delle indagini.

Più nel dettaglio, una delle più significative evoluzioni tecnologiche nell’ambito tecnico-investigativo si è avuta in relazione all’attività di pedinamento della persona indagata, vale a dire quell’attività di indagine attraverso la quale gli inquirenti acquisiscono la conoscenza di tutti i movimenti fisici e gli spostamenti della persona sottoposta al procedimento allo scopo di verificare ovvero scoprire eventuali attività criminose oppure per individuare soggetti terzi coinvolti in un reato.

L’applicazione di strumenti tecnologici alla richiamata attività di indagine viene definita comunemente pedinamento elettronico e che sostanzialmente consiste nell’attività volta a tracciare gli spostamenti di una persona fisica ovvero di un bene mobile, al pari del pedinamento per così dire classico, avente come caratteristica ulteriore, rispetto a quest’ultimo, l’impiego di strumenti tecnologici estremamente avanzati, che di fatto sostituiscono e rendono più semplice e più celere l’attività di pedinamento e registrazione degli spostamenti, che altrimenti avrebbe necessitato dell’apporto di un agente di polizia giudiziaria.

Alla base di questa innovativa attività investigativa si ravvisa un sistema satellitare che prende il nome di Positioning.

Orbene, recentemente la quinta sezione della Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul valore probatorio del positioning con la sentenza n. 12771 del 2023.

Gli ermellini hanno preliminarmente attribuito il valore di massima di esperienza al fatto che ogni apparato telefonico mobile emetta una frequenza che gli consente di collegarsi alla cd. “cella” più vicina quando vi è traffico telefonico in atto.

Invero, ogni cella si riferisce a una determinata porzione di territorio, entro la quale è collocata un’antenna capace di recepire il segnale del telefono che si venga a trovare in sua prossimità.

positioning geolocalizzazione

Nonostante ciò, con la sentenza in commento i giudici di legittimità rilevano l’inattendibilità dei risultati generati da tale sistema, in quanto sussistono margini di errori elevati nel definire la corretta posizione geografica di un determinato soggetto.

Ed infatti gli ermellini affermavano che poiché il segnale è ricevuto con intensità diversa a seconda della vicinanza ad una cella o a un’altra, è possibile stabilire soltanto con una certa approssimazione la posizione del telefono che emette il segnale.

Siccome l’apparato radiomobile che aggancia una determinata cella può trovarsi in tutti i punti del territorio che ricadono all’interno di essa, la possibilità di identificare la sua posizione è strettamente collegata alla superficie di copertura della cella stessa: in altri termini, la precisione è maggiore se la cella è piccola (cella urbana), minore, se si tratta di una “macrocella”, tipica degli ambienti extraurbani.

Occorre inoltre tener conto che, in particolari condizioni di sovraccarico telefonico, è ben possibile che l’apparato telefonico mobile agganci una cella contigua alla porzione di territorio in cui si trovi, che risulti più libera. Ne deriva che le indicazioni fornite dal segnale captato dalla cella non consentono l’esatta localizzazione dell’utenza abbinata ad un apparecchio telefonico mobile, sussistendo margini di errore anche di centinaia di metri, se non di chilometri.

Data questa incertezza, secondo i Giudici di Piazza Cavour “l’affermazione della presenza in un certo luogo del detentore del dispositivo richiede necessariamente ulteriori elementi tali da dimostrare la sua reale presenza fisica in quel medesimo luogo, da escludere che il dispositivo fosse detenuto da qualcun altro, da precisare l’esatta posizione all’interno dell’area cui si riferisce la cella”.

 

Dott. Nicola Coscia

Laureanda Valentina Montalto