Le ferie non godute, senza invito del datore a fruirne, sono monetizzabili a fine carriera

La Sezione Lavoro della Cassazione, con ordinanza n. 17643 del 20 giugno 2023, enuncia il diritto del lavoratore di ottenere a fine carriera la monetizzazione delle ferie e dei riposi settimanali non goduti, salvo che questi abbia ricevuto invito di usufruirne da parte del datore di lavoro e abbia autonomamente deciso di non beneficiarne (perdendo così il proprio diritto).

L’invito del datore di lavoro deve essere caratterizzato da accuratezza, ove necessario anche da formalità e deve in ogni caso pervenire al lavoratore in tempo utile a garantire il suo riposo, fine ultimo delle ferie stesse.

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Inoltre, deve contenere l’avviso secondo cui le ferie non utilizzate verranno perse al termine di un periodo di riferimento o di un periodo di riporto organizzato. L’art. 7 della direttiva 2003/88, difatti prevede che “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali” e che “Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.

Tale disciplina appare giustificata in luce al rapporto tra datore e lavoratore, che vede quest’ultimo come contraente debole e che potrebbe essere, nel momento in cui rivendichi il proprio diritto alle ferie, obiettivo di misure pregiudizievoli da parte del datore di lavoro. Risulta quindi necessaria una effettiva tutela del lavoratore, che si sostanzia peraltro con l’onere della prova in capo alla parte contraente forte: sarà il datore a dover dimostrare che il lavoratore sia stato messo in grado, concretamente e con la massima trasparenza, di usufruire delle ferie annuali retribuite.

La mancata dimostrazione dell’avvenuto invito da parte del datore e il mancato versamento dell’indennità spettante al lavoratore, comporta violazione dell’art. 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/88 come stabilito dalla sentenza Grande Camera, 6 novembre 2018, causa C-684/16, M.

Ulteriore aspetto rilevante riguarda la prescrizione del diritto in costanza di rapporto, che veniva previsto da una pronuncia di legittimità su tale materia (Cass., Sez. L, n. 10341 dell’11 maggio 2011).

Stante però l’obbligo per il giudice nazionale di rivedere la giurisprudenza interna qualora contrastante con gli scopi di una direttiva, il principio enunciato nel sopracitato giudizio di legittimità è mutato: si prevede attualmente che la prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva decorra a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro (come è espressamente riportato nell’ordinanza n. 17643 del 20 giugno 2023 della Suprema Corte) e quindi non in costanza del rapporto stesso.

Dott.ssa Chiara Giannella