Le criptovalute sono strumenti finanziari: l’ultima pronuncia della Cassazione

dicembre 16th, 2022|Alberto Grassi, Diritto penale|

Le criptovalute devono qualificarsi alla stregua di un prodotto o strumento finanziario e,  conseguentemente, risulta applicabile a tutti coloro che svolgano attività di exchangerdi monete  virtuali la normativa in tema di intermediazione finanziaria disposta dal T.U.F. agli artt. 94 e seguenti. È questa l’innovativa posizione assunta dalla Corte di Cassazione, II Sezione Penale, con la  recentissima sentenza n. 44378/2022, la quale ha fatto notevole chiarezza su un tema altamente  dibattuto data l’inafferrabilità concettuale, al livello giuridico, che da sempre connota le monete  virtuali. 

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su ricorso proposto dal Procuratore della  Repubblica di Brescia, il quale aveva impugnato l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di  Brescia con la quale era stata rigettata la richiesta del PM di disporre il sequestro preventivo di circa  30 bitcoin per il reato di cui all’art. 648-ter1 c.p. (autoriciclaggio), essendo questi proventi del reato  di cui all’art. 166 T.U.F. (che punisce chiunque offre – fuori sede e in mancanza dei requisiti  professionali richiesti – o promuove e colloca mediante comunicazione a distanza prodotti o strumenti  finanziari, o attività d’investimento). 

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La Suprema Corte, ponendosi in linea con altre pronunce precedentemente adottate da alcuni Tribunali di Merito (Tribunale di Verona nel 2017), ha ritenuto che le monete virtuali acquistate e  scambiate su piattaforme virtuali debbano qualificarsi come “prodotti o strumenti finanziari”, dato  che presentano tutti i requisiti distintivi di un investimento, ossia: 

  1. un impiego di capitali (che può consistere anche in altre monete virtuali);
  2. un’aspettativa di rendimento o di produzione di un utile; 
  3. un rischio d’investimento direttamente correlato al capitale investito.

Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, la Corte di Cassazione giunge alla conclusione che: “La  moneta virtuale deve essere considerata uno strumento di investimento perché consiste in un prodotto  finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art.  94 e ss. TUF), le quali garantiscono […] la tutela dell’investimento”.

Dunque, chi opera su piattaforme virtuali di exchange di criptovalute e ricopre il ruolo di exchanger è giuridicamente equiparato alla figura dell’intermediario finanziario, come definito dal TUF, e  conseguentemente è tenuto al rispetto di tutti gli obblighi informativi posti a loro carico affinché i  consumatori siano edotti dei contenuti contrattuali e del rischio di capitale connesso all’operazione  che stanno per compiere. 

Da ultimo, dalle argomentazioni offerte dalla Suprema Corte discende che tutte le ipotesi di reato  previste dal TUF in capo a soggetti che operano quali intermediari finanziati siano configurabili anche  in capo ai c.d. exchanger che svolgono attività di intermediazione di criptovalute su piattaforme di  scambio virtuali. 

Dott. Alberto Grassi