Responsabilità delle banche a seguito di concessione abusiva di credito e fallimento

ottobre 7th, 2021|Andrea Rega, Diritto fallimentare|

Lo scorso 14 settembre, la I Sez. della Suprema Corte, con ordinanza n. 24725/21 si è pronunciata sulla configurabilità della responsabilità facente capo a banche e istituti di credito a seguito dell’erogazione di denaro a società a responsabilità limitata in stato di grave crisi.

Si sostiene, con la predetta ordinanza, che in alcune circostanze il finanziamento potrebbe addirittura aggravare lo stato di dissesto in cui precedentemente la società versava.

In questo caso, dunque, l’erogatore del credito risponderebbe dell’illecito di “abusiva concessione del credito” nel caso in cui venisse erogato con dolo o colpa a un’impresa che sia oggettivamente e strutturalmente in una situazione di difficoltà economica, nonché senza prospettive di superamento della crisi. Ciò in quanto, la banca verrebbe meno al dovere di preventivo controllo e di prudente gestione.

A seguito della pandemia da Covid19, sempre a scopo preventivo, sono stati inseriti ulteriori divieti facenti capo ai medesimi soggetti.

Ed invero, qualora si verificasse un aggravamento del dissesto durante la continuazione dell’attività d’impresa, potrà essere richiesto in via giudiziale il risarcimento dei danni ex. art 2043 c.c.

Questo, tuttavia, non sarà possibile se la banca o l’istituto di credito, fuori dalla normale procedura di risoluzione della crisi d’impresa, abbia considerato ex ante un rischio ragionevole e la prospettiva di superamento della crisi anche minima, o quantomeno la permanenza dell’impresa sul mercato.

Il curatore può agire contro la banca dopo il fallimento per imprudente concessione del finanziamento. Nonostante ciò, una volta che si sia aperto il concorso dei creditori, non sono più esperibili azioni individuali, né in via esecutiva, né tantomeno in via cautelare.

In questo modo, viene tutelata la massa dei creditori da eventuali pregiudizi di ogni tipo, in particolare coloro i quali avevano già contrattato o erano entrati in contatto con l’impresa prima della concessione abusiva del finanziamento, con la conseguente perdita delle garanzie ex. art. 2740 c.c.

Si tratterebbe, dunque, di una responsabilità concorrente fra la banca o l’istituto di credito e gli organi sociali (art. 146 l. fall.) in quanto i fatti che hanno condotto alla situazione di crisi aggravata, e quindi al danno, sono i medesimi (litisconsorzio facoltativo).

L’illecito si concretizzerebbe quando viene concesso un finanziamento a una società senza speranze o prospettive di recupero o di uscita dallo stato di crisi.

Il danno è duplice: sotto un primo profilo, patrimoniale, in quanto si verifica una diminuzione della consistenza economica dell’impresa e il venir meno delle garanzie per i creditori; sotto un secondo profilo, si tratterebbe di un danno contabile, poiché porta all’aggravamento delle perdite d’impresa durante il periodo di continuazione dell’attività.

Come previsto dall’art 2086 c.c., fa capo agli amministratori il dovere di rilevazione tempestiva della crisi per consentire la continuità aziendale, concretizzato nell’adozione di un assetto amministrativo e contabile adeguato e l’attivazione degli strumenti d’allerta per il recupero della continuità.

Per i creditori, una gestione antieconomica dell’impresa nei cui confronti hanno un interesse può portare a rilevanti perdite, nonché all’impossibilità di eseguire azioni revocatorie.

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Sarebbe necessario, in conclusione, verificare la sussistenza in concreto della condotta di finanziamento con riferimento al conseguente aggravamento del dissesto.

Dalla sentenza emerge infatti che il punto cruciale del finanziamento sarebbe quello di bilanciare gli interessi in gioco, distinguendo tra finanziamento lecito e abusivo.

Nel formulare le sue valutazioni l’ente finanziatore deve procedere in base al suo standard di conoscenze e capacità.

E per verificare se il finanziamento concesso è meritevole o abusivo bisogna valutare se il piano aziendale per uscire dalla crisi è ragionevole e fattibile. Un criterio di diritto positivo può essere l’art. 67 l.f. secondo cui il piano deve essere idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria.