PROFILI PENALISTICI RELATIVI AGLI OBBLIGHI DI CONTROLLO GRAVANTI SUI SINDACI DI SOCIETA’ DI CAPITALI

La presente relazione ha ad oggetto una lettura critica dei confini della responsabilità penale dei membri del collegio sindacale per omesso impedimento di illeciti realizzati nel contesto della gestione sociale.

Uno dei temi più delicati del diritto penale commerciale attiene all’individuazione dei presupposti della responsabilità penale di quei membri del board societario che pur non assumendo personalmente il ruolo di gestori dell’azienda ,essendo privi di qualsiasi potere decisionale autonomo, hanno uno specifico dovere di controllo sull’altrui condotta ed un conseguente obbligo di intervento nei casi in cui sia necessario impedire che vengano realizzati fatti criminosi da parte dei componenti del consiglio di amministrazione, organo specificamente delegato a compiere scelte operative e gestionali.

Infatti, come è noto, nell’attuale assetto organizzativo delle società commerciali, specie in quelle di non modeste dimensioni, accade di frequente che nei consigli di amministrazione, accanto alle figure che rivestono direttamente un ruolo apicale, e per i quali non sussiste alcuna questione in ordine al riconoscimento di un’eventuale responsabilità penale per gli illeciti commessi nella gestione della governance societaria, siedano soggetti che, seppur privi di un ruolo dominante, sono chiamati a svolgere un’attività di controllo e vigilanza sull’altrui condotta.

Pertanto, la questione dibattuta attiene alla comprensione di quali siano le condizioni e le circostanze in presenza delle quali sia possibile affermare la responsabilità penale dei membri del collegio sindacale.

In proposito, parte della dottrina ha affermato che, pur non avendo i membri del collegio sindacale penetranti obblighi gestionali e pertanto, non potendo sovrapporsi all’attività dell’organo direttivo, la loro presenza stabile e “immanente” nell’ambito della società, li porrebbe nella condizione di percepire concretamente e in via immediata la liceità o meno delle condotte poste in essere dagli amministratori, avendo dunque l’obbligo di intervenire in virtù dei compiti loro istituzionalmente attribuiti. Ne consegue, in base a tale ricostruzione, che la violazione anche colposa di tale obbligo di intervento, determini, al di là di singole fattispecie concretamente esimenti, l’imputabilità al sindaco delle condotte illecite degli amministratori.

Al riguardo, si è sviluppato un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale avente ad oggetto l’individuazione dei confini dell’ambito di responsabilità penale dei sindaci, che ha visto contrapporsi due opposti orientamenti: uno, minoritario, favorevole ad una compressione di tale responsabilità, alla luce di una lettura più contenuta dell’obbligo di vigilanza, l’altro, di gran lunga maggioritario, incline ad un allargamento di detto ambito in virtù di un ritenuto più ampio spettro di validità dell’obbligo, frutto di una più aderente lettura sia degli atti preparatori delle leggi regolatrici che della volontà del legislatore.

Aderendo a tale ultimo orientamento, infatti, risulta evidente che l’Ordinamento assegni ai componenti del collegio sindacale, non un generico obbligo di controllo, bensì un ben più imperativo obbligo di vigilanza sull’attività di gestione, inteso nel suo senso di rispetto assoluto della legalità e, quale obbligo complementare, quello di impedire che gli amministratori pongano in essere atti e fatti lesivi degli interessi della società, dei creditori e degli stakeholders in genere.

Dunque, nel caso in cui le condotte degli amministratori travalichino i limiti della fisiologica gestione e si atteggino a fatti penalmente rilevanti, immediatamente percepibili dal sindaco in virtù della sua immanenza nell’ambito della società, risulterebbe chiara la sua responsabilità per non averne impedito la commissione o per non aver operato al fine di, per lo meno, ridurne o paralizzarne gli effetti negativi.

Tale ricostruzione, è confermata anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in tema di bancarotta fraudolenta, dispone che la responsabilità a carico dei sindaci è normalmente ravvisabile a titolo di concorso omissivo alla stregua dell’art. 40, comma II, c.p., come violazione del dovere di controllo che discende dall’art. 2392 c.c., disposizione che impone agli amministratori di adempiere i doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario, obbligo espressamente richiamato dall’art. 2407 dello stesso codice in relazione ai sindaci di una società.

Più di recente, la Suprema Corte ha affermato che l’obbligo di vigilanza gravante sul collegio sindacale non è limitato al mero controllo contabile, bensì deve estendersi al contenuto della gestione ai sensi dell‘art. 2403, commi I,III e IV c.c., cosicché il controllo sindacale, se non investe in forma diretta le scelte imprenditoriali, neppure si esaurisce in una mera verifica formale riconducibile ad un riscontro contabile nell’ambito della documentazione loro messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la rappresentazione. Per tali ragioni, sorge l’esigenza che i sindaci evidenzino e segnalino , portandoli a conoscenza di terzi interessati, anche apparenti anomalie gestionali, sospetti emergenti nel sistema contabile e/o dai bilanci della società redatti dagli amministratori, violazioni di norme regolatrici della corretta e conforme a legge amministrazione e tutto ciò che possa, a loro avviso, contenere i germi di potenziali ipotesi di reato.

Infine, con la pronuncia n.44107/2018, La Cassazione ha sancito il principio per cui la condotta del sindaco è considerata penalmente rilevante nel caso in cui fornisca un contributo causale nella realizzazione del fatto criminoso realizzato dagli amministratori. Infatti, l’omissione del controllo cui sarebbe ordinariamente tenuto, purché sussista almeno il dolo eventuale, è l’elemento cardine su cui ruota una sua eventuale responsabilità penale.

Il predetto obbligo giuridico, come recentemente chiarito dai giudici di legittimità, si concretizza nel dovere di vigilanza, di natura estremamente più penetrante del mero controllo.

Tra le disposizioni codicistiche che delineano i poteri di attivazione del collegio sindacale, deputato a scongiurare il verificarsi di lesioni al patrimonio sociale, oltre agli artt. 2403 c.c., 2403- bis c.c. e 2406 c.c. che impongono al sindaco di compiere atti di ispezione e controllo, di convocare l’ assemblea quando siano ravvisati fatti censurabili di rilevante gravità, deve essere richiamato anche l‘art. 2409 c.c. che sancisce il potere del collegio dei sindaci delle società per azioni di segnalare quelle condotte che, sulla base di una serie di indici, possano essere sintomatiche di comportamenti delittuosi da parte dell’organo direttivo.

In conclusione, sulla base delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione, potrà dirsi dimostrato un effettivo nesso di causalità materiale tra la condotta omissiva del sindaco e quella delittuosa degli amministratori, non per via di un concreto potere impeditivo, bensì per l’omessa individuazione e conseguente segnalazione di comportamenti comunque sintomatici di irregolarità nella gestione, idonei a violare l’integrità del patrimonio sociale.

Dott.ssa Giorgia Gennari 

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