Stampa periodica, la responsabilità del direttore per omesso controllo

La Cassazione penale, sez. V, con sentenza n. 22850 (dep. Il 23/05/2019), è intervenuta delineando l’istituto attinente i reati commessi col mezzo della stampa periodica e, nello specifico, del delitto di diffamazione commesso dal giornalista e conseguente responsabilità da parte del direttore. La Corte ha ribadito il consolidato orientamento, secondo cui,  il delitto di diffamazione commesso dal giornalista con il mezzo della stampa rappresenta l’evento del reato colposo attribuibile al direttore responsabile, ai sensi dell’art. 57 c.p., la cui condotta omissiva consiste specificamente nel non aver attivato i dovuti controlli per evitare che – col mezzo della stampa e sul periodico da lui diretto – venga lesa dolosamente la reputazione di terze persone. Pertanto, in caso di assoluzione dell’imputato di diffamazione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, alcuna responsabilità penale è configurabile in capo al direttore ai sensi del citato art. 57 (ex multis Sez. 5, n. 8418 del 12/06/1992, Zatterin, Rv. 191929; Sez. 5, n. 8118 del 28/05/1999, Monti, Rv. 214128; Sez. 5, n. 22869 del 08/04/2003, Leone e altro, Rv. 224536).

La pronuncia de quo trae origine dal ricorso, proposto dall’imputato R.G., condannato ai soli effetti civili per il reato di cui all’art. 57 c.p., per non aver esercitato, nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano, il dovuto controllo sulla pubblicazione di un articolo ritenuto diffamatorio nei confronti di P.A..

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, l’imputato articola due motivi:

  • con la prima desume una errata applicazione della legge penale, in contrasto tra la condanna del R. e la conferma dell’assoluzione dell’autrice dell’articolo. Il fatto a questa addebitato non costituisce reato e l’illecito addebitabile al direttore responsabile, presuppone la consumazione di un reato perfetto in tutti i suoi elementi soggettivi ed oggettivi.
  • Con la seconda, sviluppa una ulteriore erronea applicazione della legge penale e vizi della motivazione, dovuti ad una malsana veridicità delle informazioni veicolate dal quotidiano ed attenendosi solo alle informazioni filtrate nella conferenza stampa indetta dagli inquirenti, a seguito dell’esecuzione di misura cautelare nei confronti del P. ed i successivi lanci d’agenzia.

Il primo motivo di ricorso è fondato ed il suo accoglimento comporta l’assorbimento del secondo.

Nel caso di specie ed alla luce di quanto argomentato, l’imputato non poteva essere condannato, dato che la Corte territoriale ha ritenuto di confermare l’assoluzione dell’autrice dell’articolo che, giustificata dall’esercizio del diritto di cronaca, faceva venire meno il fondamento stesso della punibilità del direttore. Ne consegue, nella equivoca motivazione della sentenza, il non aver interpretato diligentemente se l’autrice dell’articolo abbia effettivamente agito esercitando il proprio diritto di cronaca e ritenuta mera “esecutrice” della decisione di pubblicare la notizia assunta anche dalla direzione e che tutto questo abbia escluso il dolo della stessa. In ogni caso, resta saldo che, qualora dovesse ritenersi il difetto dell’elemento soggettivo, il fatto non costituirebbe il reato di diffamazione e che non sarebbe configurabile la penale responsabilità del direttore per omesso controllo (Sez. 5, n. 19827 del 26/02/2003, Graldi, Rv. 224404).

Gli Ermellini, in conclusione, annullano senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Dott. Enzo Maria Iasiello